Catania, cita l’amante della moglie ma viene condannato lui

Di Vittorio Romano / 11 Marzo 2019

Questi i fatti: la moglie fedifraga, messa alle strette dal marito che evidentemente aveva intuito qualcosa di strano, confessa la sua relazione extraconiugale con dovizie di particolari, fino a fare il nome dell’amante che, come spesso avviene, è un suo collega di lavoro. Confessa inoltre che la relazione è iniziata già da qualche anno e va avanti in maniera molto intensa. Al marito crolla il mondo addosso e vengono mille sospetti, tanto che – ricordando il detto latino mater semper certa est, pater numquam – decide di ricorrere al test del Dna per avere la certezza che il figlio avuto dalla moglie fosse realmente suo.

L’uomo, ferito e infuriato, chiede il divorzio e, dopo una lunga trafila, ottenuta la separazione, decide di agire in giudizio per richiedere all’amante il risarcimento del danno conseguente la lesione non solo della dignità personale, ma anche della propria salute, visto che la separazione, lo stress conseguente la verifica della paternità e lo scherno sociale lo avevano assai provato.

Ma l’iter giudiziario intrapreso non s’incanala nel binario sperato. Ogni istanza viene rigettata e alla fine il poveretto è costretto al pagamento di spese da “lite temeraria” poiché, a dire della Suprema Corte, lo stesso non aveva proprio alcun diritto di rivolgersi all’amante della moglie per il ristoro dei danni. Il terzo incomodo, infatti, considerato i tempi moderni nei quali “tutto è arte”, sarebbe libero di esercitare il proprio diritto di espressione della personalità che comprende “artisticamente” anche intrattenere relazioni con persone sposate. E questa non è una novità nel mondo dell’arte se si pensa a una famosa contessa che, nonostante felicemente sposata, pubblicamente intratteneva una relazione extraconiugale col pittore Renato Guttuso, al quale prestava spesso le sue nudità fungendo da musa ispiratrice, e mai sapremo se lo stesso risarcì il “nobile” marito di lei donandole uno o più quadri che oggi varrebbero qualche milione di euro.

Ma la Cassazione, forse per disincentivare ulteriori cause, si spinge più avanti specificando che oggi anche la persona sposata che tradisce il coniuge è libera di autodeterminarsi poiché, e questo è un nuovo principio giuridico, l’ordinamento costituzionale italiano non tutelerebbe più il mantenimento dell’integrità familiare, ma soltanto la famiglia in quanto tale se i coniugi la mantengono unita. La Cassazione, infine, consiglia ai coniugi fedifraghi, al fine di evitare cause risarcitorie, di provvedere direttamente a confessare il tradimento prima che il marito lo venga a sapere da terzi, perché solo in quel caso si potrebbe configurare un danno di natura patrimoniale. Se la lettura della sentenza può far sorridere, nei fatti la Cassazione, che già si era espressa in tal senso ma più timidamente, sdogana il tradimento come evento da cui potrebbero conseguire danni patrimoniali e lo inquadra semplicemente come una presa d’atto della dissoluzione della famiglia.

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Pubblicato da:
Redazione
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