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Mafia imprenditoriale

Catania, «Ciccio Riela voleva tornare a essere il colosso dei trasporti»

Le motivazioni della sentenza del tribunale nei confronti dell’ergastolano

Di Laura Distefano |

Sono passati 12 anni da quando il Gico della guardia di finanza ha notificato in carcere a Ciccio Riela un’ordinanza di custodia cautelare per mafia. L’imprenditore-boss di Cosa nostra – scampato a un attentato perché i killer lo scambiarono con suo fratello Giovanni – sta scontando una condanna all’ergastolo per gli omicidi commessi nel 1998 dei nisseni Lorenzo Vaccaro e del suo autista, Francesco Carrubba. E ora gli è arrivata un’altra condanna a 6 mesi di isolamento da parte del Tribunale per quell’inchiesta partita per comprendere se i Riela, re dei trasporti in Sicilia per diversi decenni, avessero in qualche modo ripreso gli affari attraverso meccanismi illeciti nonostante le società fossero state strappate alle grinfie della mafia.

Nelle oltre 50 pagine delle motivazioni della sentenza, il Tribunale scrive che «Riela deve ritenersi colpevole dei reati di associazione mafiosa» dal 2005 al 2009. Per i giudici «tutti i comportamenti» dell’imputato «sono stati indirizzati verso personali obiettivi aziendali, realizzati per via della sua capacità imprenditoriale, tutelati per via della pregressa protezione mafiosa che aveva di diritto e utilizzati per creare vantaggi ai prossimi congiunti». Per il collegio però vi è un «dubbio sul fatto che abbia agito come consociato» vero e proprio. Riela è un «soggetto con forte capacità imprenditoriale che tiene in particolar modo alle aziende di famiglia».

Per il Tribunale sarebbe stato un boss che avrebbe seguito le correnti mafiose: «A seconda del clan egemone si è trovato a cavalcare l’onda ora con questo ora con altro gruppo malavitoso, passando, per esempio, dai Mazzei ai Santapaola, diventando uomo d’onore a Palermo e vicino a Vito Vitale». In questa sua ascesa, intrapresa per salvaguardare il proprio lavoro, «ha raggiunto vertici magari mai ipotizzati, partecipando a summit in cui andavano deliberati i programmi» (decisioni riguardanti l’azienda da taglieggiare ma anche il tizio da “eliminare”, ndr).

Una scalata così notevole (ha contatti anche con i corleonesi Lo Piccolo) da diventare lui stesso un obiettivo da uccidere. Le intercettazioni in carcere hanno fatto comprendere il peso che Ciccio Riela si porta dietro per l’errore commesso dal commando che ha ammazzato il fratello al suo posto.Il Tribunale, che va ricordato ha assolto Filippo Intelisano (figlio di Pippo ‘u niuru’, difeso da Francesco Marchese) non ritiene che a carico di Francesco Riela vi sia «una pacifica adesione agli obiettivi di mafia, ma certamente vi è una messa a disposizione per fini propri». Fini che il Tribunale cristallizza nella sentenza: «Ricreare sotto altro nome le aziende confiscate, di tornare a essere il colosso di un tempo (la gente avrebbe dovuto lavarsi la bocca prima di parlare dei Riela, disse), di estendere nuovamente il trasporto e acquisire distribuzione, di operare nel settore tranquillamente in virtù dei trascorsi e degli equilibri mantenuti». Per mantenere questi equilibri Riela – difeso dagli avvocati Salvatore Pace e Mario Brancato – avrebbe dispensato «regali e ceste» alle persone giuste. Tra cui un «contributo in regalo al boss palermitano per l’acquisto dell’auto del figlio minore» oppure «le assunzioni». Azioni che avrebbero permesso ai parenti «di infiltrarsi nelle aziende dei trasporti su strada».

Il Tribunale conclude dicendo che Riela avrebbe «agevolato la mafia anche per un tornaconto personale». E avrebbe agito all’occorrenza «concedendo contributi alle cosche» che sarebbero stati «utili e necessari per i fini imprenditoriali».

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