Parentele scottanti e, sullo sfondo quell’intrecciato e fitto “tessuto relazionale, costituito da rapporti di parentela e di affinità, fra gli amministratori e soggetti gravati da condanne per associazione di stampo mafioso che riguardano alcuni degli assessori e dei consiglieri comunali, eletti o nominati nelle due ultime consiliature sia nelle file della maggioranza che della minoranza consiliare”. E’ uno dei passaggi chiave della corposa relazione del prefetto di Catania, Maria Carmela Librizzi, richiamata nel decreto di scioglimento per mafia del Comune di Castiglione di Sicilia, il 23 maggio scorso, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale con il provvedimento a firma del presidente della Repubblica Sergio Mattarella su proposta dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e approvato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
La relazione prefettizia ha rimarcato il contesto territoriale nel quale è inserito il territorio di Castiglione di Sicilia, “di evidente interesse per le associazioni a delinquere di tipo mafioso, i cui gruppi locali sono storicamente legati ad una delle famiglie mafiose di «cosa nostra» egemone sul versante jonico pedemontano del catanese, come accertato anche giudizialmente in numerose sentenze passate in giudicato che hanno ricostruito l’operatività di quelle cosche criminali sin dagli anni duemila”.
L’organo ispettivo, muovendo la sua attività dalle informazioni fornite dalle forze di polizia, ha posto in evidenza “i rapporti e le cointeressenze sussistenti tra una parte dell’apparato politico e burocratico comunale con esponenti del locale crimine organizzato. Relazioni personali riferite a soggetti «chiave» dell’amministrazione comunale dalle quali non è esente il sindaco Antonio Camarda (nella foto), controllato già nel giugno 2017, all’indomani delle elezioni amministrative, in compagnia di un noto esponente della cosca locale”; peraltro, riferisce il prefetto, “un soggetto che è sempre stato una costante presenza nelle dinamiche politiche e amministrative del Comune di Castiglione di Sicilia”.
Rapporti tra amministratori locali ed esponenti della criminalità organizzata di cui – si legge nella relazione – il primo cittadino era perfettamente a conoscenza” e che il prefetto di Catania valuta così intensi da poter essere considerati “elemento sintomatico del plausibile sviamento dal perseguimento dell’interesse pubblico nell’azione amministrativa, in favore di quello mafioso”.
Nella relazione del prefetto si evidenzia anche l’assoluta inerzia tenuta in materia di appalti dall’amministrazione comunale e dagli uffici preposti che ha di fatto comportato l’affidamento diretto di lavori e servizi (talvolta operato in somma urgenza) ad un numero ristretto di ditte, “in spregio a quanto disposto dal codice dei contratti e dal codice antimafia in materia di rotazione”. Tali modalità operative hanno peraltro consentito al Comune di procedere alla concessione di beni del patrimonio immobiliare dell’ente locale e al rilascio di licenze comunali a soggetti o imprese privi dei requisiti soggettivi per poter contrattare con la pubblica amministrazione in quanto direttamente o indirettamente legati o riconducibili alla criminalità organizzata. Gli elementi del condizionamento dell’amministrazione comunale ed in ogni caso della mala gestio sono inoltre emersi, significativamente, dall’analisi delle procedure seguite per l’esecuzione di lavori, alcuni dei quali, anche in questo caso, riferibili al servizio raccolta rifiuti, eseguiti da un’associazione privata che annovera tra i propri soci persone legate a vario titolo a pregiudicati per reati di mafia.