PALERMO – Costruita senza regole. Abusiva come tanti immobili della zona, tutti edificati nell’alveo originario del fiume Milicia che la pioggia ha trasformato in una massa d’acqua impetuosa. E il fiume la scorsa notte si è ripreso il suo letto, allagando e travolgendo tutto quello che incontrava. L’acqua ha invaso l’abitazione e ucciso nove persone: donne, uomini, bambini riuniti per per festeggiare la ricorrenza dei defunti e un compleanno. La villetta non era loro. Erano in affitto e la usavano per il week-end e per le vacanze. Nel 2008 il Comune di Casteldaccia, centro alle porte di Palermo, ne aveva disposto la demolizione: impensabile sanarla visti la distanza dal fiume Milicia e il vincolo di inedificabilità assoluta che grava sulla zona.
I proprietari, però, hanno fatto ricorso al Tar contro l’abbattimento e l’edificio è rimasto in piedi. Per dieci anni. Una storia su cui i magistrati di Termini Imerese, che hanno aperto un fascicolo sulla tragedia, cercheranno di far luce. La pratica relativa all’immobile è stata sequestrata su ordine del procuratore Ambrogio Cartosio che stamattina ha sorvolato in elicottero la zona. «Ho visto il disastro – ha commentato – cercheremo di capire bene cosa è accaduto, ma la villetta era certamente a meno dei 150 metri dal fiume che la legge impone come zona di rispetto». «L’ipotesi di reato non è stata ancora definita. Stiamo valutando», ha spiegato.
Edifici costruiti sugli argini e sui letti dei corsi d’acqua senza mura di cemento, un territorio sventrato da quarant’anni di abusivismo edilizio, denunce spesso rimaste lettera morta, Comuni senza i soldi per le demolizioni. E, «una cattiva manutenzione della rete idrografica che impedisce il deflusso dell’acqua», spiega, dopo un sopralluogo nella zona, il geologo Fabio Tortorici, presidente della Fondazione Centro Studi del Consiglio Nazionale dei Geologi e consigliere dello stesso.
Lo sfondo della tragedia di Casteldaccia è questo e i sindaci della zona lo raccontano da anni. La casa della morte si trova sul normale corso del fiume Milicia, sotto ai piloni dell’autostrada. Accanto: baracche di legno e lamiera e qualche prefabbricato. Tutto abusivo. «La zona in cui è esondato il fiume è ad altissimo rischio, non solo per le condizioni dell’alveo che va ripulito ma per l’enorme numero di edifici costruiti senza rispettare le regole. Lo denunciamo da anni. L’ultimo esposto è di un anno fa e l’ho fatto con l’ex sindaco di Casteldaccia», dice Giuseppe Virga, primo cittadino di Altavilla Milicia il cui territorio è separato da quello di Casteldaccia proprio dal torrente straripato.
Il capo dei Vigili del Fuoco di Termini
Nonostante le denunce le costruzioni sono andate avanti. Si continua a tirare su scheletri, si piazzano cancelli a difesa della proprietà che rendono difficili i controlli. «Accedere alla zona – racconta l’ex sindaco del Comune in cui si è verificata la tragedia, Fabio Spatafora – è difficilissimo e l’amministrazione può contare su sei vigili urbani. Le demolizioni sono rarissime: non abbiamo i soldi per farle e comunque la legge ci vincola a una serie di adempimenti burocratici che allungano i tempi. Per questo la gente continua a costruire. Sa che resterà tutto impunito».
La storia della casa della morte, dunque, è una delle tante storie di abusivismo di un Paese in cui, certifica l’Istat, il 20%, con punte del 49% in Sicilia, degli immobili sono irregolari. E nell’Isola e nel centro Italia, spiegano i Verdi, il reticolo idrografico minore è quasi scomparso a causa dell’urbanistica espansiva spesso in deroga che non tiene conto dell’esigenza di avere suoli drenanti.
In un quadro generale disarmante sarà la magistratura a fare luce sulle responsabilità. Perché se, come dice il sindaco di Casteldaccia Giovanni Di Giacinto, il ricorso al tar aveva bloccato l’iter della demolizione, il Comune, per legge, ha l’obbligo di verificare l’iter del procedimento davanti al tribunale amministrativo e in assenza di una sospensiva dell’ordine di demolizione ha comunque l’obbligo di abbattere.