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Caso Saguto, in aula l’arringa della difesa: «Un processo anomalo»

Di Elvira Terranova |

CALTANISSETTA – Lo definisce un «processo anomalo» con «73 capi di imputazione che contiene tante storie da sviscerare» ma anche uno “tsunami accusatorio” a cui dovere “resistere”. E respinge ogni accostamento alla vicenda Palamara, stigmatizzando il riferimento alle “chat di Palamara”, citati dall’accusa durante la requisitoria. «Di dubbio gusto citare quelle ‘chatterie’…», dice.

Sette ore di arringa difensiva, che proseguirà mercoledì, per l’avvocato Ninni Reina, legale dell’ormai ex giudice Silvana Saguto, l’ex Presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, accusata di essere stata a capo di un sistema illecito per l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati a Cosa nostra. L’avvocato Reina ha chiesto per ogni capo di imputazione a carico di Silvana Saguto e citato oggi “l’assoluzione perché il fatto non sussiste».

Sono 14 gli imputati del processo, tra cui il marito e il figlio di Silvana Saguto. L’ex magistrato, nel frattempo radiata dalla magistratura, è presente in aula, con una giacca rosso fuoco, e ascolta in silenzio la prima udienza dedicata alla lunga arringa del suo legale, seduta accanto al marito, Lorenzo Caramma, seppure rispettando le distanze, come prevede la norma anti Covid.

«Sono dieci pagine di contestazioni – spiega il legale di Saguto all’inizio dell’arringa – Un processo anomalo, in qualità e quantità. Non è solo un problema di numeri, ma di materiale umano che dobbiamo scandagliare per spiegare il loro agire, le loro condotte. Ci troviamo di fronte a magistrati, avvocati, professori universitari, ingegneri”. “Io so quello che mi aspetta, ne ho piena, matura, consapevolezza. E’ un compito difensivo di straordinaria complessità, non per quantità ma per qualità delle argomentazioni”.

Prima del lockdown il procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone e i pm Maurizio Bonaccorso e Claudia Pasciuti, che hanno coordinato l’inchiesta molto complessa, hanno chiesto per Saguto la condanna a 15 anni e 10 mesi di carcere, oltre all’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici. Chiesta anche la condanna a 12 anni e 3 mesi per l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, amministratore giudiziario. Nove anni e 10 mesi per l’ingegner Lorenzo Caramma, marito di Silvana Sagusto; 11 anni e 10 mesi per il professor Carmelo Provenzano; 6 anni per l’ex prefetto Francesca Cannizzo; 2 anni e 6 mesi per l’ex giudice della sezione misure di prevenzione Lorenzo Chiaramonte; 10 anni e 11 mesi per l’amministratore giudiziario Roberto Nicola Santangelo; 2 anni per l’amministratore giudiziario Walter Virga; 6 mesi per Emanuele Caramma, figlio della Saguto; 4 anni e 4 mesi per il docente universitario Roberto Di Maria; 5 anni per Maria Ingrao, moglie del professor Provenzano; 4 anni e 6 mesi per Calogera Manta, cognata di Provenzano; 8 anni e 1 mese per il colonnello della Dia Rosolino Nasca. Chiesta invece l’assoluzione per Vittorio Pietro Saguto, padre dell’ex magistrato e per l’amministratore giudiziario Gabriele Aulo Gigante.

Nella sua arringa fiume, l’avvocato Reina fa molte citazioni, a partire dallo scrittore Leonardo Sciascia ma anche il Capo dello Stato Sergio Mattarella e, ancora, lo scrittore Erri De Luca. «Come diceva Sciascia – dice Ninni Reina nel’arringa – la verità sta a fondo delle cose. Sta a noi, con fatica ma con rigore e onestà intellettuale scovarla. Generalmente l’approccio fisiologico è quello di limitarsi a osservare il pozzo dall’alto, vederlo in superficie, cercando di intercettare qualche raggio solare o qualche riflesso di luna, a secondo del momento in cui si guarda».

«Ma la vera forza morale, il vero senso di responsabilità del ruolo che si ricopre impone di non arrendersi mai, scavare, scandagliare, sudare con fatica, fino a quando ala fine troverà quella verità non dobbiamo arrenderci alla superficie», aggiunge l’avvocato. Poi cita il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella «quando si rivolse ai giovani uditori – dice – invitandoli a una condotta sobria ma riservata nello stesso tempo. Li ammoniva sul rischio di superficialità». E parla di «imprevedibilità delle decisioni perché frutto di estemporaneità – spiega – il dubbio va stanato e scandagliato sempre senza arrendersi mai».

Parlando del capo di imputazione per l’utilizzo “improprio” dell’auto blindata, usata dalla scorta per l’acquisto di prodotti di profumeria, l’avvocato dice: «Le anomalia in questo processo ci sono state, non ho mai visto, ad esempio, un magistrato condannato per abuso d’ufficio per l’utilizzo improprio dell’auto di servizio». E spiega che erano stati i due agenti di scorta a chiederle di restare a casa e che sarebbero andati loro in profumeria «per una questione di sicurezza». Poi, rivolgendosi al Tribunale, l’avvocato Reina spiega: «Lo dico senza piaggeria, questo tribunale emetterà un giudizio incontaminato, libero, autonomo, indipendente. Ci metto la buona fede».

«Si possono non condividere delle idee – dice – possiamo avere idee divergenti nella ricostruzione di un fatto ma quello che anima, quello che c’è dietro, non è il pregiudizio, non è da questo tribunale il pregiudizio». «Sappiamo che sarà un giudizio libero e io vi riconosco queste doti di garante della tutela dell’effettività, vi riconosco il rigore morale, la competenza, l’equilibrio. Avete pesato con certosina pazienza i piatti delle due bilance, alla fine sono simmetriche».

Non manca una stoccata ai media. Non cita direttamente “Le Iene”, ma il riferimento sembra proprio alla trasmissione di Italia Uno che ha dedicsto numerose puntate al caso della ex giudice imputata. «I giornalisti hanno il dovere di fare da cane da guardia, è giusto, ma c’è un desiderio di giustizialismo che allarga la forbice tra giustizia percepita e giustizia reale. Bisogna riflettere tutti insieme, ci vuole un maggiore senso di rispetto delle norme deontologiche», spiega .

«I dati che noi trattiamo sono dati iper sensibili perché attengono a garanzie costituzionali – spiega l’avvocato Reina – la presunzione di non colpevolezza, il diritto al giusto processo, la prova che si deve raggiungere oltre ogni ragionevole dubbio, sono tutti valori costituzionali che il giornalismo d’inchiesta deve tutelare. Si ha il dovere di dire che l’indagine non è ancora certezza. Che pur quanto si condivida il contenuto di una indagine, ci sarà sempre un processo i cui tempi sono diversi, le cui aspettative sono diverse. Ma è il dovere di acculturare democraticamente l’utente».

«Non si può ingozzare e nutrire artificialmente l’utente per cercare di ingrassare, ingrassare e ingrassare questo suo desiderio, questo senso dell’italiano medio giustizialista. Non si può entrare nella pancia nei sentimenti, dicendo che questa non è certezza. E’ facile dire ipocritamente, che “Naturalmente ci sarà un processo”, quando il format e la tecnica è risolutiva di giudizio, dove la forbice tra la giustizia percepita e quella reale si è ormai divaricata. Quel desiderio di giustizialismo che c’è. Bisogna fare in modo che questa forbice tra la giustizia percepita e quella reale non si allarghi. Bisogna riflettere tutti insieme e avere maggiore senso del rispetto delle norme deontologiche”.

Dedica parte della sua arringa anche al caso Palamara. «E’ stato di dubbio gusto citare nel corso del processo le chat del pm Luca Palanara, come hanno fatto sia l’accusa che una parte civile. Qualcuno ha detto “Palamara docet”, stiamo attenti. I processi vanno fatti su ben altri livelli. Il processo penale richiede spessore probatorio, che ce lo si metta in testa», si sfoga Reina. E cita la nomina dell’ex Presidente della sezione di Misure di prevenzione Saguto. «Quando è stata nominata presidente di sezione non si sapeva e non si poteva prevedere quale sezione sarebbe andata a guidare – dice – Ma ipotizzare uno scenario secondo cui sarebbe stata nominata per poi beneficiare il figlio di Tommaso Virga (l’ex componente del Csm ndr) è assurdo».

«Quando si cita Palamara con la sua “chatteria” è una offesa all’integrità morale di un intero distretto che ha proposto la dottoressa Saguto all’unanimità. Riteniamo davvero che si possa fare riferimento alla chattopoli di Palamara e dire “Palamara docet”?»

Non risparmia le critiche a Walter Virga, figlio dell’ex componente del Csm Tommaso Virga e nominato in più occasione amministratore giudiziario dalla stessa Saguto. “Walter Virga è un ragazzo che parla a proposito e a sproposito, è molto giovane. Non ha il temperamento che gli permette di resistere alle tempeste mediatiche. Si lascia così andare a sproloqui, che sono tanti”, dice l’avvocato Ninni Reina proseguendo la sua arringa difensiva.

«Quando il giovane Virga dice che Mariangela Pantò, (la compagna del figlio di Silvana Saguto ndr) è “un pizzo che noi stiamo pagando” sono sproloqui – dice il legale – Sono considerazioni soggettive». Secondo l’accusa, rappresentata dal pm Maurizio Bonaccorso e Claudia Pasciuti, Walter Virga, amministratore giudiziario, imputato nel processo, e per il quale sono stati chiesti due anni di reclusione, «non aveva l’esperienza e la competenza necessaria per poter amministrare i beni delle società Rappa e Giardina Bagagli e di questo la dottoressa Silvana Saguto era consapevole».

L’arringa difensiva è stata sospesa e rinviata a mercoledì prossimo, 10 giugno. Saranno trattati i rapporti tra l’imputata e l’ammnistratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA