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Il contenzioso
Caso Priolo e depuratore Ias, il gruppo Eni contro il Gip di Siracusa: «Non c’è uno straccio di prova»
La prima reazione al provvedimento col quale il giudice non ha autorizzato la prosecuzione dell’invio dei reflui delle raffinerie
Illegittimo, abnorme e infondato. È arrivato il primo dei ricorsi contro il provvedimento del Gip di Siracusa che non autorizza la prosecuzioni delle attività del depuratore Ias di Priolo Gargallo. Lo firmano gli avvocati milanesi di Versalis, la società di Eni che si occupa di chimica. E che – insieme a Isab, Sonatrach e Sasol – è coinvolta nel procedimento penale per disastro ambientale aperto nel capoluogo aretuseo.Il 31 luglio, il gip ha deciso di disapplicare il «decreto bilanciamento», cioè il decreto interministeriale – Ambiente e Made in Italy – che decide come mantenere operativo l’impianto biologico consortile priolese e, così, garantire la continuità industriale del polo petrolchimico. Il decreto stabilisce alcune deroghe al Testo unico ambientale sulle emissioni di idrocarburi, fenoli e solventi organici aromatici. Alleggerimenti, insomma, dei limiti imposti dalla legge.
La decisione del giudice
Il Gip sceglie di non tenerne conto sulla base della sentenza della Corte Costituzionale che, a giugno, ha dichiarato parzialmente illegittimo il decreto legge Salva Ilva, pensato anche per Ias, che modifica il codice di procedura penale in materia di sequestro. Per la Consulta, è impensabile che le «misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale», previste dal decreto legge, non abbiano scadenza. Imposta, a quel punto, a 36 mesi come per l’acciaieria tarantina.
Versalis non ci sta
Secondo Versalis, il provvedimento del gip siracusano si pone «in aperto conflitto» e in «stridente contrasto» con la sentenza dei giudici costituzionali, poiché «non residua in capo al giudice penale alcun potere discrezionale di valutazione». Secondo l’azienda del gruppo Eni, il giudice non ha margine per stabilire se le misure di bilanciamento siano sufficienti oppure no. «Il giudice è, a questo punto, vincolato ad autorizzare la prosecuzione dell’attività, alle condizioni stabilite dal Governo», si legge nella parte della sentenza della Consulta in cui si traduce la logica – «invero, non proprio cristallina» – del Salva Ilva.
La versione di Versalis
Dice Versalis: «La Corte Costituzionale ha anche evidenziato come non esista alcun meccanismo alternativo che consenta al giudice penale (una volta che il governo abbia adottato e definito le misure di bilanciamento) di negare l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività». Il fatto che un eventuale provvedimento di diniego, previsto dallo stesso decreto, debba essere trasmesso alla presidenza del Consiglio dei ministri, al ministero dell’Ambiente e a quello del Made in Italy (come avvenuto in questo caso), sarebbe – nella tesi degli avvocati dell’industria – «un meccanismo per consentire di rimuovere gli effetti di un provvedimento illegittimo del giudice». Un «freno di emergenza», sì, ma non del giudice nei confronti del governo, bensì il contrario.
Cosa dice la Consulta
È la Consulta a ribadire come, in caso di stabilimenti di interesse strategico nazionale, «gli ordinari poteri del giudice possono essere temporaneamennte compressi, in forza di una lex specialis che riservi al potere esecutivo il compito di indicare le misure che assicurino il complesso bilanciamento tra i delicati interessi in conflitto». Al capoverso successivo, la Corte ricorda altresì che la Costituzione «vieta che l’iniziativa economica privata si svolga in modo da recare danno alla salute o all’ambiente: e nessuna misura potrebbe legittimamente autorizzare un’azienda a continuare a svolgere stabilmente la propria attività in contrasto con tale divieto».Da cui la necessità di stabilire dei limiti temporali e di individuare azioni «funzionali all’obiettivo di ricondurre gradualmente» l’attività industriale, «nel minor tempo possibile, entro i limiti di sostenibilità fissati dalla legge». La Consulta afferma che le misure in questione «dovranno naturalmente mantenersi all’interno della cornice normativa fissata dal complesso delle norme di rango primario», cioè il Testo unico ambientale; e che il provvedimento che individua il percorso verso il risanamento, in questo caso il decreto interministeriale sul bilanciamento, «resta di natura amministrativa e come tale soggetto agli ordinari controlli giurisdizionali sotto il profilo della sua legittimità».
Il decreto disapplicato
Il Gip di Siracusa, disapplicando il decreto, parte da questo assunto: vero è che il governo ha la facoltà di dettare misure temporanee per la prosecuzione delle attività, ma questo non mi obbliga ad accettarle a prescindere da come queste misure siano formulate. Operando, quindi, quel controllo di legittimità a cui la Corte Costituzionale fa riferimento. Per Versalis, prima dei grandi utenti industriali a rivolgersi al Riesame di Roma, questa valutazione «non gli era in alcun modo consentita».Se anche lo fosse stata, però, per i legali dell’azienda di Eni ogni contestazione a proposito della inadeguatezza delle misure di bilanciamento sarebbe sconnessa «da ogni realtà fattuale, del pari ignorata, bypassata e così manipolata». Le prescrizioni dell’Autorizzazione integrata ambientale concessa a Ias dalla Regione Siciliana a luglio 2022, attuabili grazie al decreto interministeriale, sarebbero sufficienti a garantire «il risanamento della (solo pretesa) situazione di compromissione ambientale che interesserebbe il sito industriale». Per Versalis, il giudice starebbe agendo come se ci fosse già stata una condanna per disastro ambientale. Mentre ancora non c’è nemmeno un processo, c’è solo un’udienza preliminare con un incidente probatorio in corso. E ci sono gli interventi, programmati e in corso di esecuzione da parte dei grandi utenti, per realizzare ciascuno il proprio depuratore.
I legali non ci stanno
Nel frattempo, dicono gli avvocati milanesi, «non vi è uno straccio di elemento di prova in ordine alla sussistenza di danni sanitari o di pericoli per la salute». Resta, infine, la questione dei controlli. L’Ispra, menzionato dai ministeri nel decreto, ha definito le attività di sorveglianza delle emissioni «operativamente inapplicabili», per via del tempo necessario e del personale insufficiente. Elemento, questo, ricordato dal Gip nel suo provvedimento di disapplicazione. Anche per questo Versalis ha una risposta: «Il tema affrontato da Ispra si conferma come di natura meramente organizzativa», risolvibile «mediante un potenziamento degli organici». Le istituzioni preposte non sono riuscite, finora, a garantire controlli efficienti in uno dei poli petrolchimici più grandi d’Europa? Assumessero personale. Al tribunale di Roma, visti anche i futuri ricorsi dei ministeri e delle raffinerie, spetterà decidere chi abbia ragione.