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l'inchiesta
“Botti” di mafia, i segreti in codice. Rito per festeggiare scarcerazioni o l’arrivo di droga
I clan avrebbero fiutato l'affare e si starebbero organizzando per entrare nel settore dei fuochi pirotecnici sull'asse Napoli-Catania
Una tempesta di stelle cadenti e fiori scintillanti che illuminano il cielo. Sopra i tetti dei palazzoni grigi di Librino, a Catania, esplode uno spettacolo pirotecnico da fare invidia a qualsiasi festa patronale. «Ma cos’è successo?», si chiede qualcuno. E, mentre il teatro dei fuochi continua, smanetta con lo smartphone pensando di essersi perso la data di qualche santo da festeggiare. Ma “googlando” non trova nulla. Dietro quello “scoppio” – puntuale – di mezzanotte non c’è alcun motivo religioso né folkloristico. Un galeotto è tornato in libertà dopo diversi anni di carcerazione e gli è stato organizzato un benvenuto (è proprio il caso di dirlo) col botto.
Non siamo in una puntata di qualche serie Netflix. Anche se la celebrazione del «leone», settantenne molto conosciuto nella malavita etnea, è in diretta social su TikTok. Una festa, in grande stile, che – manco a dirlo – non ha avuto alcuna autorizzazione. Ma purtroppo, questa è solo l’ultimo episodio di una lunga serie. Il vizio di celebrare le scarcerazioni con fuochi d’artificio emerge anche dalle indagini. Quando mise il becco fuori dalla cella Michele Vinciguerra, ‘u cardunaru (vecchio lupo dei Cappello di Catania arrestato dai poliziotti della squadra mobile e da qualche settimana diventato collaboratore di giustizia) fu accolto di ritorno a Vaccarizzo con un concerto neomelodico e fuochi d’artificio. Restando in terra etnea, anche Tony Nicotra di Misterbianco (giovane rampollo del clan alleato con i Mazzei di Cosa nostra) appena ridiventato un uomo libero trovò sotto casa una batteria di mortaretti esplosi mentre le telecamere dei carabinieri, nell’ambito dell’operazione Gisella, registravano la scena. «Il capo è tornato». Un messaggio chiaro e di potere mafioso al quartiere o, come in quel caso, a un’intera cittadina.
Un codice mafioso che è diffuso in tutta l’isola. In un recente blitz della Dda di Palermo, l’inchiesta “Vincolo” sul mandamento di Porta Nuova, ci sono addirittura intercettazioni che fanno capire come anche per sparare fuochi d’artificio “fuori zona” bisogna avere le autorizzazioni della famiglia che comanda. Alla Vucciria di Palermo – dove la mafia è più plastica a livello territoriale rispetto a quella di Catania e nello stesso quartiere possono coesistere più clan – il comitato di accoglienza al detenuto scarcerato dovette fermarsi su ordine di Alessandro Cutrona, perché quello da celebrare «era del Borgo». Le conversazioni, pubblicate su LiveSicilia, non lasciano dubbi: «Gli ho detto che se dovete mettere i giochi di fuoco li dovete andare a mettere al Borgo non da me». Come dire: si sentono “padroni” di interi quartieri della città.
Un rito utilizzato dai criminali finito anche tra gli argomenti delle audizioni con la commissione Antimafia regionale. «Spesso di sera – disse il presidente Antonello Cracolici – i palermitani possono vedere dai tetti delle loro abitazioni fuochi d’artificio: non sono feste religiose, ma un modo per festeggiare la scarcerazione di detenuti rimessi in libertà dopo anni di condanne. Un ritorno in libertà che spesso coincide con il ritorno al crimine».
Lo sparo dei fuochi – magari più contenuti e di minore durata – molte volte coincide con l’arrivo di un carico di droga, perlopiù cocaina. Poi c’è un linguaggio parallelo che di cifrato non ha nulla, ma è solo ostentazione criminale: i botti per festeggiare il compleanno del nipote del boss o, l’anniversario di nozze del capomafia. Ma anche i funerali di vecchi padrini e anniversari di omicidi. Nei filmati in mano ai carabinieri raccolti nel corso dell’indagine antidroga “Concordia” del 2021 si notano i fuochi d’artificio esplosi per il battesimo del figlio del gestore di una piazza di spaccio.Il fenomeno purtroppo ha anche superato il confine della criminalità organizzata ed è diventato metro di inciviltà dilagante (come si evidenzia nell’altro articolo di approfondimento in questa pagina).Eppure, di fronte a una “domanda di mercato” così abbondante e impellente, i clan mafiosi si starebbero organizzando per entrare anche nel settore della fabbricazione dei fuochi pirotecnici. Non è un caso, che appena qualche giorno fa, i carabinieri della stazione di Partanna Mondello, nel Palermitano, abbiano arrestato un trentaduenne che aveva trasformato il suo garage in un deposito di materiale esplodente. I fuochi utilizzati dai clan potrebbero essere acquistati grazie ai canali rodatissimi della droga, in particolare nell’asse Napoli-Catania. La polizia etnea appena qualche mese fa ha arrestato un corriere partenopeo e sequestrato cinquemila chili di fuochi. Il napoletano trasportava 100 ordigni esplosivi privi di qualsiasi etichettatura e peso di 230 grammi ciascuno. Le consegne, scoprirono gli investigatori, erano effettuate nei parcheggi di centri commerciali o di autorimesse. Le organizzazioni criminali insomma, fiutando l’affare dei giochi pirotecnici, si sarebbero attrezzate per conquistare fette di mercato. Mafia che vende alla mafia.