Borsellino, dopo 32 anni troppi buchi neri: «In tanti non affrontano le proprie colpe»

Di Laura Distefano - Laura Mendola / 18 Luglio 2024

«Tante persone non hanno il coraggio di affrontare le proprie colpe». Antonio Vullo (nella foto a lato), l’unico della scorta sopravvissuto alle bombe che uccisero il giudice Paolo Borsellino, domani non sarà in Via D’Amelio. L’unico testimone di quell’inferno non vuole più essere tra le passerelle. Ne ha viste troppe in questi 32 anni. Processi, depistaggi, bugie. «Basta». Domani Antonino Vullo resterà a casa. L’unico incontro pubblico a cui ha voluto partecipare è quello con gli Scout in via D’Amelio. Perché i ragazzi sono il futuro. E sono la speranza. Per il resto Vullo vuole rimanere fuori dai riflettori e dai microfoni. La sua frase, poche parole, però diventa un grido (di dolore) dalla grande potenza.
A Caltanissetta ci sono tanti (forse troppi) fascicoli aperti sulla strage del 19 luglio del 1992. Si rileggono i verbali dei collaboratori di giustizia, si rivedono le motivazioni delle sentenze dei quattro procedimenti in cerca di nuove prove per accertare la verità – anche se storica – su quanto è accaduto prima a Falcone e poi a Borsellino.

La prima volta senza Vincenzo Agostino

Questo sarà il primo anniversario della strage di via D’Amelio senza Vincenzo Agostino, il padre di Nino, che è morto senza avere la certezza giudiziaria su chi sia stato ad uccidere il figlio poliziotto nel 1989. Se siano stati i sicari di Cosa nostra.
Vullo conosce bene quel sentimento di mani vuote. Ha perso pochissime udienze dei primi tre grandi processi per via D’Amelio. Ma nelle aule di giustizia il sopravvissuto ha ottenuto solo una verità a metà.
E mentre i pm indagano la delusione risale. Perché, in questa narrazione che non ha ancora un finale, ci sono toghe sporche. Toghe che avrebbero tradito. Ma Paolo Borsellino i traditori li conobbe da vicino. Alcuni furono anche sulle macerie di via D’Amelio. Per nascondere e sviare.
Negli ultimi anni i fari della giustizia si sono nuovamente accesi e nei fascicoli della procura di Caltanissetta sono spuntati i nomi dell’ex procuratore Pietro Giammanco e di Arnaldo La Barbera. I due sono deceduti, ma c’è anche l’allora pm Gioacchino Natoli e il generale della Finanza Stefano Screpanti. I due avrebbero “insabbiato” parte dell’indagine su “mafia e appalti”, relativa ai collegamenti delle infiltrazioni criminali in Toscana, esattamente nelle cave di Massa Carrara. Il dossier che per i familiari del giudice Paolo Borsellino sarebbe la chiave per scoprire chi “isolò” il giudice fino ad accompagnarlo a un omicidio “annunciato”. Gli stessi che avrebbero dovuto proteggerlo.

La pista “nera”

I pm nisseni seguono anche il filone della “pista nera”. E poi c’è il troncone processuale (aperto in fase preliminare) nei confronti di quattro agenti della Mobile di Palermo accusati di depistaggio per le fase dichiarazioni rese al processo “Borsellino quater” e a quello “Depistaggio”. Quest’ultimo si è concluso in appello nei confronti di tre poliziotti.
Ci sono personaggi illustri che sono finiti nei meandri giudiziari che lasciano spazio a nuovi interrogativi e amarezze. Il killer catanese dei Santapaola Maurizio Avola ha raccontato ben 8 versioni differenti sulle fasi antecedenti alla strage di via D’Amelio. Alcune non collimano con quelle di Vullo, che quel maledetto 19 luglio ha visto morire Paolo Borsellino e i colleghi Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Casentino e Claudio Traina.
Ma Avola insiste. Poche settimane fa, in due udienze infinite a Caltanissetta durante l’incidente probatorio, ha detto di essere stato lì, di aver dato il segnale ai Graviano per premere il telecomando che ha fatto saltare la Fiat 126 imbottita di tritolo. Avrebbe avuto qualche secondo di tempo per mettersi al riparo e poi andare nell’auto che l’aspettava. Alla guida ci sarebbe stato Aldo Ercolano, l’uomo che durante la latitanza e poi la cattura di Nitto Santapaola (nel 1993) diventa il capo della mafia di Catania.
Graviano ed Ercolano, due nomi che in qualche modo collegano via D’Amelio con la strategia della tensione in continente. Perché leggendo nei particolari di quello che accadde a Firenze e Roma si trovano indizi che portano a Palermo e anche a Catania. Un progetto di una cellula autonoma – nell’asse Palermo-Trapani, di attacco allo Stato che cominciò con l’assassinio di Paolo Borsellino? Un piano diabolico che si innescò dopo Capaci (o forse approfittandone) e che si concluse con gli arresti dei Graviano a Milano e di Aldo Ercolano a Desenzano Del Garda. Entrambi in Lombardia tre mesi di distanza. E coincidenza volle che dopo che scattarono le manette il rumore delle bombe cessò.

Pubblicato da:
Fabio Russello
Tag: strage di via d'amelio