Nel Catanese
Blitz “Athena” a Paternò, l'”aiutino” del clan Morabito a tre politici: tra indagati il sindaco Naso
Nell'operazione della procura e dei carabinieri di Catania si contano complessivamente 56 indagati. Fatta luce sulle dinamiche criminali del gruppo Morabito-Rapisarda con interessi anche sulle aste giudiziarie immobiliari
Ci sono anche il sindaco di Paternò, Antonino Naso, eletto con delle liste civiche nel giugno del 2022, un ex consigliere comunale ed ex assessore, Pietro Cirino e un assessore dell’attuale giunta, Salvatore Comis, tra gli indagati dell’operazione “Athena” dei Carabinieri. Il reato ipotizzato, in concorso con due presunti esponenti del clan Morabito legato alla “famiglia” Laudani di Catania, Vincenzo Morabito e Natale Benvenga, è di scambio elettorale politico-mafioso. Cirino è tra i quindici destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Il gip ha disposto gli arresti domiciliari con l’uso del braccialetto elettronico per un indagato e il divieto di esercitare la professione per un anno nei confronti di un avvocato. Per il legale è stata esclusa l’aggravante mafiosa.
E’ quanto emerge dall’inchiesta Athena, con 56 indagati, coordinata dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e dai sostituti Tiziana Laudani e Alessandra Tasciotti, che, grazie alle indagini dei Carabinieri della compagnia di Paternò, oltre a fare luce sulle dinamiche criminali e sugli elementi di vertice del gruppo Morabito-Rapisarda operativo a Paternò e riconducibile al clan catanese Laudani, ha fatto emergere anche gli interessi dell’organizzazione nel controllo sistematico delle aste giudiziarie di immobili nelle province di Catania e Siracusa. L’inchiesta tratta anche presunte infiltrazioni nel voto delle amministrative scorse a Paternò con un presunto aiuto del clan Morabito ai tre amministratore indagati.
Per gli amministratori la Procura aveva chiesto un provvedimento cautelare che è stato rigettato dal gip Sebastiano Di Giacomo Barbagallo che ritiene sia da escludere la sussistenza dei necessari gravi indizi di reato riguardo alla posizione del sindaco Naso. Secondo il gip l’assunzione di due persone vinco alla cosca in un’azienda che si occupa di rifiuti e il presunto il sostegno elettorale «non appaiono prospettabili» e, citando un provvedimento della Cassazione, ricorda che ai fini della configurabilità del delitto di scambio elettorale politico-mafioso è necessaria «la prova che l’accordo contempli l’attuazione, o la programmazione, di un’attività di procacciamento di voti con metodo mafioso». Anche per Comis sono stati esclusi gravi indizi di reato: il cui sostegno elettorale mafioso non si sarebbe concretamente materializzato vista la mancata elezione.
Dalle indagini dei Carabinieri di Paternò emerge inoltre che nell’ambito delle aste il clan avrebbe potuto “contare sull’esistenza di rapporti di conoscenza con alcuni delegati alla vendita” e su un avvocato di Siracusa, per cui è stato disposto il divieto di esercizio della professione per un anno, che «si sarebbe prestato a favorire l’aggiudicazione dell’immobile all’asta in favore del figlio di una persona che si era rivolto all’associazione mafiosa».Il giro di affari, che coinvolgeva anche altre tipologie di operazioni immobiliari, avrebbe garantito consistenti guadagni, con compensi commisurati al valore del bene sul mercato immobiliare, che, di frequente, sarebbero stati condivisi col clan Assinata. I rapporti tra le due cosche, per affari di interesse comune, secondo l’accusa, sarebbero stati agevolati da due delle persone indagate nei confronti delle quali il Gip ha accolto la richiesta di applicazione della misura cautelare in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Uno dei due è l’ex assessore del Comune di Paternò, Pietro Cirino, che è la tesi della Procura, «oltre ad avere stabili rapporti di affari con esponenti apicali del clan mafioso, avrebbe messo a disposizione il proprio bagaglio di conoscenze e le proprie entrature nella politica locale». L’altro indagato, a sua volta imprenditore agricolo, tra «l’altro avrebbe messo a disposizione il magazzino di cui è titolare per consentire incontri tra i rappresentanti delle due diverse famiglie mafiose».Il clan «Morabito-Rapisarda» sarebbe anche dedito al traffico di droga, soprattutto marijuana, e aveva un’articolata rete di rapporti criminali sul territorio catanese che gli garantiva dei canali di approvvigionamento dello stupefacente, proveniente da cosche di Catania e della vicina Adrano. Il gruppo, inoltre, poteva disporre di basi logistiche per la custodia e per il confezionamento dello stupefacente, nonché di un immobile sito nel centro cittadino di Paternò dove veniva dato appuntamento agli acquirenti. Anche il settore degli stupefacenti, utilizzato come fonte di «entrate» per la «cassa comune», era gestito con l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso. Al vertice del gruppo vi sarebbe stato proprio uno degli esponenti del clan «Morabito-Rapisarda».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA