Cronaca
Blitz antimafia tra Roma e Catania: fra i 31 arrestati storici boss e tre donne
ROMA – E’ di 31 arresti il bilancio dell’operazione dei carabinieri del Ros, coordinati dalla Dda di Roma, contro il clan Fragalà. Tra gli arrestati, Francesco D’Agati considerato anziano boss mafioso di Cosa Nostra che, secondo gli inquirenti, avrebbe avuto un ruolo di mediatore per mantenere la «pax» tra gruppi criminali presenti sul quel territorio.
Per chi indaga il gruppo dei Fragalà avrebbe stipulato un patto «federativo» con i Casalesi, i Fasciani e Senese. Le indagini, durate due anni, sono state corroborate anche da riscontri di un collaboratore di giustizia e hanno consentito di ricostruire l’organigramma del clan.
Secondo le indagini ai vertici dell’organizzazione c’erano Alessandro Fragalà, di 61 anni, il nipote Salvatore di 41 anni, e Santo D’Agata 61 anni, che sarebbero stati in costante contatto con gli ambienti mafiosi catanesi sia per la gestione dei traffici illeciti sia per reclutare manodopera criminale per lo svolgimento dell’attività delittuosa nel Lazio.
«Tra le persone arrestate c’è anche Francesco D’Agati, un uomo di “Cosa Nostra”. Anni fa era capo mandamento di Villabate, alle porte di Palermo. Uno dei mandamenti al centro delle storiche indagini di Dda del capoluogo siciliano». Lo ha detto il procuratore facente funzioni di Roma, Michele Prestipino, nel corso di una conferenza stampa.
«Un’inchiesta durata due anni, partita con Giuseppe Pignatone, e che ha portato alla luce una famiglia mafiosa a tutto tondo, perché i componenti risiedono e operano in questo spazio criminale. Nell’esercizio di queste attività – ha spiegato Prestipino – il clan di origine catanese si è “federato” con altri gruppi criminali, in particolare con uomini vicini ai Casalesi con cui hanno dato vita a un cartello mafioso. Nel tempo abbiamo colto, infatti, rapporti con i Fasciani di Ostia e con i gruppi napoletani dei Senese».
Tra i 31 arresti di oggi, anche tre donne. Fra queste c’è Astrid Fragalà, ex presidente di Confcommercio di Pomezia. La donna si trova ora ai domiciliari. Per gli inquirenti avrebbe svolto un ruolo di «cerniera» tra il padre Alessandro, individuato a capo dell’organizzazione, ed «esponenti della politica e dell’econonomia» di Pomezia. Contatti, anche con alcuni consiglieri comunali che sono estranei all’indagine, «finalizzati al condizionamento dell’amministrazione comunale». Le altre due donne finite in manette, per gli inquirenti, erano «soldati della cosca» che dovevano tessere rapporti con società e politica.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA