Sono 23 i reati per cui la Procura di Firenze indaga l’ex premier Silvio Berlusconi. Accuse pesanti che vanno dalle stragi mafiose di Roma, Firenze e Milano, all’attentato, fallito, al giornalista Maurizio Costanzo, allora impegnato in una serie di trasmissioni tv contro i clan, scampato insieme alla moglie Maria De Filippi, il 14 maggio del 1993, all’esplosione di un’autobomba. Sullo sfondo gli anni della stagione di sangue con cui Cosa nostra tenne in scacco e ricattò lo Stato.
Il fondatore di Forza Italia risponde delle accuse, in una ricostruzione tutta da verificare, in concorso con i vertici della mafia. A svelarlo è lo stesso ufficio inquirente che ha reso noto ai legali di Berlusconi le accuse a carico del loro cliente. Una sorta di certificazione rilasciata su istanza degli avvocato Coppi e Ghedini che chiedevano di conoscere la posizione dell’ex premier in vista di una sua citazione al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.
Berlusconi è stato chiamato a salire sul banco dei testi dall’ex senatore Marcello Dell’Utri, imputato davanti alla corte d’assise d’appello nel dibattimento di secondo grado sul presunto patto tra pezzi dello Stato e la mafia nella stagione delle stragi. Ai suoi legali la certificazione dell’inchiesta aperta dal 2017, in un procedimento evidentemente connesso con quello della trattativa, serve per dimostrare che l’ex premier non è un semplice teste e quindi, se volesse, potrebbe non rispondere ai giudici.
L’imprenditore e politico milanese è indagato per gli attentati del Continente nel 1993, per il fallito attentato a Costanzo, per il tentativo di eliminare il pentito Salvatore Contorno e pure per la mancata strage dell’Olimpico del 1994 che sarebbe dovuta costare la vita a decine di carabinieri e che avrebbe dovuto rappresentare l’attacco finale allo Stato.
Già finito sotto inchiesta per due volte a Firenze per le stragi, Berlusconi è sempre uscito dalle indagini con un provvedimento di archiviazione.
A giugno del 2017 la procura di Palermo, però, ha trasmesso a Firenze le intercettazioni di dialoghi in carcere in cui il boss Giuseppe Graviano parlava dell’ex premier. «Mi ha chiesto questa cortesia… per questo c’è stata l’urgenza. Lui voleva scendere… però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa», diceva il capomafia a un compagno di socialità. Linguaggio criptico che per i pm siciliani era una chiara allusione alle stragi che vedrebbero l’allora imprenditore, già intenzionato a scendere in campo, come ispiratore, e la mafia come esecutrice, nel tentativo di dare una spallata alla vecchia politica. Ricevute le intercettazioni dai colleghi, gli inquirenti toscani hanno riaperto il fascicolo. E continuano a indagare.