Criminalità
Arresti Santapaola, chi è “Ciccio” Napoli, uomo d’onore “riservato” con il chiodo fisso delle “cimici”
Il presunto responsabile provinciale della "famiglia" Santapaola-Ercolano, è tra gli arrestati di ieri nell’operazione "Sangue blu" della Dda etnea e dei Carabinieri di Catania
Tredici anni di detenzione, sottolineano gli investigatori, non gli sarebbero bastati. Scarcerato il 6 settembre del 2019, Francesco “Ciccio” Napoli, erede dei Ferrera, non avrebbe perso tempo e subito avrebbe speso quel “titolo” di uomo d’onore “riservato” di cui andava fiero. Al punto tale da ricordare ad alcuni suoi fedelissimi, in passato, che lui uomo d’onore lo era. Al contrario del “quasi cugino” Francesco Santapaola, che aveva retto la famiglia senza essere stato battezzato.
«L’uomo d’onore riservato – spiega il collaboratore di giustizia Santo La Causa – viene “fatto” dai familiari stretti ed è noto solo a chi lo ha ritualmente affiliato, che poi decide quando e se presentarlo. Le ragioni per le quali si fa un uomo d’onore riservato sono le più varie, tra le altre v’è anche la possibilità di utilizzarli in modo occulto, evitando di “bruciarli”, anche contro taluni esponenti dell’organizzazione». Sull’aggettivo “riservato” ruota proprio la storia recente di “Ciccio” Napoli. “Nemico” degli smartphone, consumatore di schede sim intestate spesso a stranieri in bolletta per garantirsi una certa riservatezza nelle comunicazioni, il boss adottava una serie di stratagemmi per evitare di incorrere negli strali della legge: incontri con gli interlocutori di persona, con parole sussurrate all’orecchio; tragitti in auto o su uno scooter elettrico in cui affrontava due o tre volte le rotonde della nostra città per comprendere se fosse seguito o meno; utilizzo di due collaboratori fidati come portavoce. Uno sarebbe stato Cristian Buffardeci, spesso inviato a dialogare persino con elementi di spicco come il capo dei “cursoti milanesi” Melo Distefano; l’altro Domenico Colombo, che dovrà rispondere di concorso esterno in associazione mafiosa. Dipendente dell’Amts, Colombo avrebbe appoggiato nelle ultime regionali l’ex presidente del Consiglio comunale di Catania, Giuseppe Castiglione, estraneo ai fatti («durante le elezioni si incontra e ci si fa i selfie con tanta gente», è stato il suo commento). Di lui passeranno alla storia, almeno in questa indagine, i commenti sul “sangue blu” della mafia («io dono, il sangue, solo a loro») e l’esaltazione della famiglia Santapaola.
Tornando al Napoli e alla sua mania delle intercettazioni («’mpare – dice al Buffardeci – dobbiamo essere più ermetici, non ci dobbiamo rilassare mai»), il boss aveva deciso di chiamare alcuni luoghi da lui stabilmente frequentati in maniera convenzionale: “dove ci vediamo alle dieci” uno spiazzo fra la via Buccheri e piazza Sciuti; “palestra” la via Gorizia (dove c’è una palestra); “meccanico” o “mia madre” il civico 64 del viale Africa; “Testazza o Telefunken” la CitymotorM “calata” il largo dei vespri; “giardinetti” il largo Pogdora e con “Africa” la via Postumia, angolo via Malta, vicino al bar Africa. Durante il lockdown, poi, per parlare col cugino Francesco Ferrera avrebbe prenotato una visita cardiologica là dove il congiunto si stava facendo controllare. Eppure a un certo punto, secondo il collaboratore Salvatore Scavone, in forza ai Nizza, Napoli stava per essere ucciso. L’agguato sarebbe dovuto avvenire nella vineria gestita dalla figlia ma qualche domanda di troppo mise in allerta lo stesso boss, che decise di prendere il toro per le corna e di affrontare, seppur con qualche timore, i rivali. Ciò avvenne in un esercizio commerciale di via Orto dei limoni, di proprietà di parenti dello Scavone. In realtà l’omicidio si sarebbe dovuto consumare lo stesso, anche per affermare l’egemonia dei Nizza (il periodo di questa indagine è compreso fra il settembre 2018 e il dicembre 2020). La morte del padre dello Scavone nel giorno designato per l’agguato fece mandare in archivio ogni proposito omicidiario. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA