CATANIA. Tre ipotesi. Tre ricostruzioni. Tre piste. Tre verità. Diverse fra loro. Eppure tutte aggrovigliate, seppur con aderenza diversa, allo stesso fatto: il presunto attentato mafioso al quale, nella notte fra il 17 e il 18 maggio 2016, scampò l’allora presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci.
Dopo oltre cinque mesi di inchiesta (e decine di audizioni, fra le quali quelle dei protagonisti della vicenda, oltre che di magistrati, investigatori e giornalisti), la commissione Antimafia dell’Ars oggi voterà il testo della relazione sul caso Antoci. E il primo a doverne essere sollevato sarà proprio la vittima, a cui neanche la lunga (oltre due anni) indagine della Procura di Messina sui 14 mafiosi dei Nebrodi, tutti archiviati, ha svelato alcunché sui responsabili. Lasciando un velo di mistero su quella notte di fuoco sui tornanti della strada statale 289 fra San Fratello e Cesarò, dove la Lancia “Thesis” blindata (su cui viaggiavano Antoci e due uomini della scorta) fu bloccata con delle pietre sulla carreggiata e poi raggiunta da «tre colpi in calibro 12 a palla unica verosimilmente del tipo Cervo o Brenneke», come ricostruito dalla Scientifica di Roma.
I fori dei proiettli sulla vettura su cui viaggiava l’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci
Nessun imputato non significa, però, nessun colpevole. E allora è proprio l’ex presidente del Parco dei Nebrodi, autore del celebre “protocollo” che rovinò gli affari delle cosche di montagna diventando un modello virtuoso di legalità a livello nazionale, la persona a cui le istituzioni hanno il dovere di consegnare la verità. O quanto più brandelli di essa.
«La commissione – spiega il presidente Claudio Fava – ha cercato di approfondire i numerosi interrogativi lasciati aperti dal decreto di archiviazione disposto dal gip di Messina e, al tempo stesso, di affrontare, attraverso una minuziosa ricostruzione dei fatti, le opacità, le contraddizioni e i vuoti di verità che permangono da tre anni su questa vicenda».
A quale conclusione è arrivata l’Antimafia dell’Ars? A nessuna definitiva, anche perché questa non è un’indagine di polizia giudiziaria. La stessa ragione per la quale il modus operandi meno ingessato (analisi degli atti giudiziari, ma anche ascolto di personaggi chiave senza le pressioni e i condizionamenti dell’epoca) ha consentito una rilettura più nitida dei fatti.
E così, nelle oltre 100 pagine di relazione, la commissione approfondirebbe, con neutralità, tre diversi scenari.
Il primo è quello “classico”, battuto dalle indagini del commissariato di polizia di Sant’Agata di Militello coordinato dalla Dda: l’attentato mafioso dei clan per eliminare Antoci.
Il secondo scenario (soltanto sullo sfondo negli atti giudiziari) è più in chiaroscuro, seppur potenzialmente della stessa matrice: un atto dimostrativo, plateale e clamoroso, ma senza la volontà di uccidere l’ex presidente del Parco dei Nebrodi. Dimostrativo di che cosa, per raggiungere quale risultato? Il testo dell’Antimafia si fermerebbe a un certo punto, ma è chiaro che eventuali input su questo versante possono diventare utili per i pm.
La terza ipotesi, sussurrata nel chiacchierificio a tratti anche diffamatorio di esposti anonimi (non agli atti dell’Ars), è la più estrema: l’attentato come messinscena. E qui, se la commissione mettesse nero su bianco questa terza ricostruzione, si aprirebbe per la prima volta – con un atto istituzionale – uno scenario inquietante.
A ognuna delle tre ipotesi l’Antimafia assegnerebbe, sulla base di cinque mesi di istruttoria, un diverso “rating” di attendibilità.
E non è detto che, almeno nella bozza letta dai deputati-commissari, l’agguato mafioso sia considerato il più credibile. Così come è tutt’altro che inverosimile che lo stesso Antoci (sentito a lungo in audizione) possa essere considerato inconsapevole vittima non solo di un attentato dei boss o di un atto dimostrativo, ma anche di una pantomima orchestrata da “manine” oscure. Dagli atti parlamentari emergerebbero anche alcune significative «contraddizioni» fra le versioni fornite dai protagonisti ai magistrati e quelle verbalizzate dalla commissione. E fra le pieghe delle tre verità parallele, irrompe anche una ricostruzione (dettagliata dal punto di vista tecnico-investigativo, seppur di un testimone non super partes) dell’ipotesi del finto attentato.
Ma a impressionare sarebbero alcuni – troppi – silenzi, imbarazzati e imbarazzanti, da parte di alti vertici delle forze auditi a Palazzo dei Normanni.
Oggi, dunque, arriva lo show down. Un passo avanti verso le presunte verità sul caso Antoci? Sarebbe già un bel risultato se fosse un passo indietro rispetto alle presunte bugie.
Twitter: @MarioBarresi