Agrumi, dolci spremute e problemi tra qualità senza eguali e “Tristeza”

Di Redazione / 21 Luglio 2018

Virus Tristeza, siccità e rete di distribuzione delle acque irrigue le criticità da fronteggiare nelle campagne. Prezzi spesso troppo bassi alla produzione, e necessità di barriere fitosanitarie più rigide in entrata per fronteggiare la concorrenza sui mercati nazionali e internazionali di agrumi provenienti dall’estero. Ma anche la richiesta di tracciabilità in etichetta, oltre a quella di una maggiore percentuale di prodotto siciliano da ottenere sul fronte dei prodotti industriali, come i succhi.

Al comparto agrumicolo siciliano, che da solo vale il 58% di tutto il settore italiano, non mancano i problemi. Anche se è ricco di eccellenze, tra produzioni biologiche e a marchio di qualità: l’unica arancia Dop, quella di Ribera e tre Igp, l’arancia rossa di Sicilia che potrebbe presto approdare in Cina con il supporto del gigante cinese Alibaba, il limone di Siracusa e il limone Interdonato, a cui presto si aggiungeranno il limone dell’Etna e il mandarino tardivo di Ciaculli, presidio slow food del Palermitano.

Un comparto da valorizzare molto più di quanto lo sia oggi, secondo alcune linee condivise da produttori, commercianti e industriali della trasformazione, che Distretto Agrumi di Sicilia, Cia, Confagricoltura, Copagri e Confcooperative insieme con i consorzi di tutela delle produzioni Dop e Igp e i produttori biologici hanno racchiuso in un documento, presentato a gennaio prima all’assessore regionale all’Agricoltura Edy Bandiera e poi al ministero delle Politiche Agricole e Forestali, nell’era Martina-Castiglione.

Qualcosa (poco) s’è mosso in questi mesi. La Regione ha da poco pubblicato un bando misura 5.2 del PSR Sicilia 2014-2020 (7,5 milioni di euro, copertura del 100% delle spese) per intervenire sulla Tristeza. Bene, ma una goccia nel mare secondo alcuni. Risorse ancora non sufficienti per debellare la malattia che rinsecchisce gli agrumeti e che fino ad oggi solo i grandi produttori sono stati in grado di affrontare. Molto c’è da fare, soprattutto in riguardo a quel “Piano nazionale di settore” rimasto nei desiderata di quel documento che l’11 gennaio approdò a Roma. Piano che dovrebbe, ovviamente, occuparsi del Tristeza Virus anche «con interventi di riordino della fase vivaistica» e di «programmare una campagna triennale di comunicazione istituzionale al consumo sulle produzioni agrumicole italiane IGP, DOP e Biologico di fresco e trasformato», oltre che sostenere la diffusione di spremiagrumi automatiche in scuole e ospedali per incentivare il consumo del prodotto fresco. In più, favorire «un regime fiscale vantaggioso e la riduzione di alcuni costi per le imprese siciliane, facendone valere la condizione di insularità» e «proteggere le nostre produzioni dall’ingresso di quelle provenienti dal bacino del Mediterraneo con maggiori controlli all’ingresso e barriere fitosanitarie».

Sul fronte del prodotto trasformato l’esigenza è «ottenere la tracciabilità con una chiara indicazione in etichetta sulla provenienza della materia prima e del luogo di trasformazione». Necessario anche attivare un «percorso di monitoraggio delle superfici coltivate, delle quantità e qualità commercializzate e trasformate», adottando i «registri di trasformazione industriale» e introducendo «l’obbligo di inserimento nei fascicoli aziendali di dati relativi non solo alle specie ma anche alle varietà coltivate».  Perché per vendere bene, è meglio sapere quanto e cosa si produce.

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Tag: agrumi