Tredici misure cautelari sono state eseguite nell’Agrigentino dalle Squadre Mobili di Palermo e Agrigento per associazione mafiosa. Gli investigatori sono convinti di avere assestato un durissimo colpo ai clan di Agrigento e Porto Empedocle confermando anche come lo storico vincolo tra cosche palermitane e agrigentine non si sia mai spezzata. E’ stata anche ricostruita la mappa del pizzo imposto alle imprese con Cosa nostra che avrebbe di condizionare una serie di importanti opere, tra cui il rigassificatore di Porto Empedocle, e perfino i trasporti con l’isola di Lampedusa e i lavori di ristrutturazione degli alloggi popolari.
Il provvedimento riguarda sei ordinanze di custodia cautelare in carcere, tre ai domiciliari e quattro obblighi di dimora. Tra gli arrestati ci sono il presunto capo del clan mafiosa di Agrigento, Antonio Iacono, 61 anni, e il presunto capo della cosca di Porto Empedocle Francesco Messina, di 56, che avrebbero tentato di condizionare la costruzione del rigassificatore di Porto Empedocle. L’inchiesta è stata condotta dai Pm della Dda di Palermo Maurizio Scalia, Rita Fulantelli ed Emanuele Ravaglioli. Tutti sono accusati a vario titolo, nel provvedimento emesso dal gip Giangaspare Camerini di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, illegale detenzione di armi, detenzione di sostanze stupefacenti.
Oltre alla supremazia dei due capifamiglia di Agrigento e Porto Empedocle, sono emersi i ruoli di di numerosi soggetti come Giuseppe Piccillo, uomo di fiducia di Iacono, che si sarebbe reso responsabile di diverse azioni intimidatorie finalizzate ad estorcere il pizzo a imprese locali attive nel settore del calcestruzzo; Francesco Capizzi e Francesco Tarantino, indicati come esattori del racket per conto di Francesco Messina.