IL BLITZ ANTIMAFIA PRIMUS
Adrano, così Di Primo “il principale” esce dal carcere e si mette a capo del clan Scalisi: dalle estorsioni alla droga, tutte le accuse
L'inchiesta della Squadra Mobile di Catania: venti persone arrestate
Il blitz antimafia Primus prende spunto dal nome del principale indagato dell’inchiesta: Alfio Di Primo che – rileva la Dda di Catania – scarcerato nel luglio del ‘22 una volta tornato in libertà, si sarebbe immediatamente posto ai vertici del Clan Scalisi divenendone il reggente.
Il gruppo criminale è stato azzerato nella notte con l’operazione della Squadra Mobile di Catania e del Commissariato di Adrano (con il supporto della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia) ha eseguito un’ordinanza cautelare emessa del gip del Tribunale di Catania su richiesta della Dda etnea. In tutto i provvedimenti cautelari sono 21 e ne sono stati notificati 20. Tutti sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa (clan Scalisi di Adrano), estorsione, traffico di sostanze stupefacenti e porto e detenzione illecita di armi da sparo.
TUTTI I NOMI DEGLI ARRESTATI
Alfio Di Primo è il cognato di Giuseppe Scarvaglieri, condannato all’ergastolo, ed indiscusso capo del clan Scalisi che da ormai quasi sette anni è detenuto al 41 bis ma la cui autorità è ancor oggi riconosciuta dagli affiliati che lo indicano come “principale principale” per distinguerlo da Alfio Di Primo, indicato come “principale”.
Nel corso delle indagini è stato ricostruito l’attuale organigramma del clan Scalisi, la cui gerarchia interna vedrebbe, al livello immediatamente inferiore al reggente Alfio Di Primo, Antonino Garofalo che avrebbe svolto una fondamentale funzione di organizzazione e coordinamento sugli altri membri del clan, tra cui spiccherebbero Andrea Stissi e Dario Sangrigoli.
Gli investigatori hanno documentato numerosi incontri tra Alfio Di Primo e Antonino Garofalo, ritenuti, sulla base delle investigazioni, appartenenti di pari livello del clan mafioso Landani di Catania a cui è affiliato il clan Scalisi di Adrano.
L’inchiesta ha permesso di far luce anche sulle estorsioni ai danni di commercianti ed imprenditori adraniti sistematicamente costretti a pagare mensilmente somme di denaro agli esattori del clan. Sono stati ricostruiti diversi episodi di danneggiamento ed intimidazione nei confronti dei commercianti che non avevano aderito all’imposizione del “pizzo”. Le casse del clan sarebbero state costantemente rimpinguate dai proventi di un vasto traffico di droga, soprattutto cocaina e marijuana, gestito dai membri dell’organizzazione che – dicono gli investigatori – hanno approfittato di una fase di debolezza operativa del clan rivale di Adrano dei Santangelo. Il clan era dotato di armi ed erano pronti, nel caso, a sostenere il confronto con gli altri gruppi mafiosi.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA