A 56 anni dal terremoto del Belice il ricordo del postino: «Parlare ancora di ricostruzione è una cosa ingiusta»

Di Redazione / 14 Gennaio 2024

«Il terremoto? Difficile descriverlo, si vive e ti cambia la vita». Gaetano Santangelo, 88 anni, è uno dei testimoni che ancora oggi può raccontare il sisma di magnitudo 6,5 che la notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968, colpì la Valle del Belìce. Originario di Salaparuta, negli anni ’60 è stato l’unico portalettere del paese: «Iniziai a lavorare nel luglio 1961 prendendo il posto di mio padre – racconta all’ANSA – a Salaparuta, per via delle salite, era difficile utilizzare la bicicletta, quindi a piedi ogni giorno percorrevo 13 chilometri».

Il sisma provocò 296 morti tra le province di Palermo, Trapani e Agrigento. Gibellina, Montevago, Poggioreale e Salaparuta furono rase al suolo. Gravemente danneggiate anche Menfi, Partanna, Camporeale, Chiusa Scafani, Contessa Entellina, Sciacca, Santa Ninfa, Salemi, Vita, Calatafimi e Santa Margherita del Belice. Oltre 1000 furono i feriti, quasi 100 mila rimasero senza casa. Oggi, dopo 56 anni, la ricostruzione nel Belìce è ancora un capitolo aperto.

Gaetano Santangelo racconta oggi con lucidità quei momenti vissuti quando aveva 32 anni: «Quel giorno era domenica come oggi – dice – la prima scossa delle ore 13 l’avvertii mentre mi trovavo in campagna a fare la legna. Non pensavo fosse terremoto, solo arrivando a casa ho trovato la famiglia preoccupata. La seconda scossa nella notte, uscimmo fuori mentre ancora tutto tremava. C’era la neve e ci rifugiammo nella casa di campagna. Intorno solo morti e macerie».

Le baracche

Le baracche sono state i luoghi della speranza per i cittadini del Belìce che non avevano più le case. «Dovevamo stare poco, ci fu detto – racconta Gaetano Santangelo – ma, invece, ci abbiamo abitato per 16 anni, crescendo i figli in ambienti stretti e angusti. Però è nelle baracche che abbiamo riscoperto la solidarietà dello stare insieme, tra persone accomunate dallo stesso destino».

Nel nuovo centro di Salaparuta Gaetano Santangelo si è trasferito con la sua famiglia nel 1982. Strade ampie, assetti urbani disegnati a Roma e tradotti sul territorio. «Qui la vita sociale è cambiata – ammette l’anziano – perché la distanza fisica tra una cosa e l’altra ha posto una trasformazione delle relazioni. Oggi parlare di ricostruzione a 56 anni dal sisma è una cosa ingiusta – ammette – è tempo di chiuderla per non mortificare ancora noi abitanti di questo territorio».

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Pubblicato da:
Alfredo Zermo