Sicilia, lo scienziato del Cts: «Senza una strategia globale si rischia un altro lockdown tra 6 settimane»

Di Mario Barresi / 25 Novembre 2021

Il lockdown è dietro l’angolo, «lo abbiamo rimandato grazie ai buoni risultati sulle vaccinazioni, ma sarà ineluttabile: presumibilmente fra cinque-sei settimane». E, in questo contesto, la Sicilia, che «oggi gode dell’effetto positivo del clima mite», se non riesce a «cambiare passo sulla terza dose», rischia di essere «travolta» dalla quarta ondata all’abbassarsi delle temperature, «prendendo in pieno la coda del virus».
Non è il vaticinio di un virologo di Facebook, ma l’analisi di Cristoforo Pomara, direttore dell’Istituto di Medicina legale a Catania, esperto di analisi del rischio e componente del Cts della Regione. Pomara ha un precedente specifico: il 26 luglio scorso, su La Sicilia, previde alcune circostanze – sin troppo pessimistiche e impegnative all’epoca – tutte poi accadute: dalla vaccinazione con almeno l’80-90% di copertura «a livello mondiale» alla necessità di un green pass rafforzato, fino alla necessità di coinvolgere anche gli under 12 («Giù le mani dai bambini», tuonava in quei giorni Matteo Salvini), con la descrizione di un Covid che «si adatta e punta a vincere la guerra».


Professore Pomara, ancora una volta può affermare: «Ve l’avevo detto, io…».
«Una magra consolazione, anche se è agghiacciante leggere quel contributo a distanza di quattro mesi. Non sono un profeta del male, né un mago. Ma uno scienziato, un analista del rischio. E già all’epoca c’erano già degli studi, in particolare quelli israeliani, che andavano letti e studiati in prospettiva».

Adesso si parla di quarta ondata, molti Paesi europei hanno cominciato a chiudere. L’Italia resiste, ma il trend dei contagi è in aumento. Che succederà adesso? Ci fa un’altra previsione?
«Se vuole una frase secca, di quelle che piacciono a voi giornalisti, le dico che l’Italia va verso un nuovo lockdown, a cui si potrebbe arrivare fra cinque-sei settimane. Ma, da medico, devo spiegare il perché: nonostante il nostro Paese, fra i migliori in Europa per copertura vaccinale, sia riuscito a ritardare questo scenario, un mix di fattori lo renderà purtroppo ineluttabile».

A quali fattori si riferisce?
«Il tema principale è uno solo: l’assenza di una strategia globale, persino globalizzata, nella lotta al Covid, magari legata alla mancanza di leadership forti per imporre scelte coraggiose e necessarie. Da qui discende tutto il resto».

E cioè? Quali dovrebbero essere queste scelte di una strategia globale?
«La prima è ovviamente l’obbligo vaccinale. Se non può essere una strategia mondiali, che diventi almeno una politica sanitaria comune dell’Ue. Già, secondo me, siamo in ritardo sull’obbligo di terza dose per sanitari, anziani, personale delle Rsa e categorie a rischio. E fra poco scadrà la copertura della seconda dose su una buona parte della popolazione vaccinata. È una corsa ad inseguire il virus, che è più veloce di noi e soprattutto imprevedibile: non vince Draghi, non vince la Merkel, vince sempre lui, il Covid. L’ha già dimostrato, quando la vogliamo capire la lezione?».

Contro l’obbligo c’è sempre la spinta dei No Vax. E di tanti cittadini che, pur non essendo ideologicamente contrari, mantengono perplessità e paure.
«Ma basta con questa storia! Se si fosse fatto un referendum, avrebbe vinto il sì con l’80 per cento. Siamo in una democrazia, ma non possiamo mettere al rischio la salute, economica ancor prima che fisica, del nostro Paese per tutelare le idee e le paure di una minoranza. I No Vax sostengono che nascondiamo le cure, ma non è così. A parte che non c’è una terapia unica per tutte le varianti di Covid, ma poi come facciamo a garantire le cure se ci sono i reparti pieni anche di pazienti non Covid? È un cane che si morde la coda, rischiamo di non uscirne più. L’unica vera arma contro il virus è il vaccino. Non c’è la forza di introdurre l’obbligo vaccinale per tutti subito? Allora sbrighiamoci a fare altro, almeno».

A cosa si riferisce? Faccia un esempio.
«Eliminiamo la bazzecola dell’equiparazione di vaccino e tampone nel green pass. Il certificato che consente di muoversi lo deve avere soltanto chi è immunizzato. E questa facoltà di movimento dev’essere regolamentata con rigidità: chi arriva da un Paese con un tasso di contagi alto e soprattutto con una copertura di vaccinazione bassa, non può entrare se non è immunizzato. Per fare un esempio: in Italia un danese o un tedesco non devono poter entrare col semplice tampone, spesso rapido, fatto 48 ore prima. Se io, non immunizzato, arrivo in Italia e sto una settimana e ho tutto il tempo di prenderlo e diffonderlo, il viruso, prima di portarmelo a casa. So che in ballo ci sono gli interessi del turismo, ma un’altra chiusura totale avrebbe effetti ben più gravi: la politica decida».

Soltanto sugli stranieri che arrivano?
«No, la scelta riguarda anche gli italiani: chi non ha fatto il vaccino resta una mina vagante, non può avere il via libera col semplice tampone. E, in ogni caso, devono essere incrementati i controlli e previste sanzioni pesanti per chi, come ad esempio i ristoratori, fanno verifiche “allegre” sui possessori di green pass. Obbligo di vaccinazione, prima per alcune categorie e poi per tutti, green pass soltanto agli immunizzati e filtro severo in entrata: queste sono le misure necessarie per recuperare i mesi persi. E poi, magari, bisognerebbe cominciare a prendere di petto altri elementi sin troppo trascurati, a partire dall’alto tasso di mortalità nel nostro Paese rispetto ad altri d’Europa».

Si continua a morire ancora troppo di Covid. Perché?
«Non lo dice lei, non lo dico io: lo dicono i dati. Ancora siamo su una media di 70-80 decessi al giorno, un dato superiore anche a quelli di Paesi dove ci sono meno contagi e più immunizzati. Perché succede questo? Perché nessuno se lo chiede? Magari perché non si vuole scoperchiare un tema delicato: il nostro sistema non è ancora del tutto attrezzato. E lo stiamo rivivendo adesso, con le rianimazioni piene di pazienti Covid, ma anche per l’influenza di stagione e le altre emergenze classiche. E se ho 15 ricoverati per Covid e 15 per altro, il sistema collassa, non è in grado di rispondere quando si raggiungono certi numeri. E uno degli effetti, secondo me, può essere anche il significativo tasso di mortalità per il virus. Non è solo un problema di numero di anestesisti da assumere, ma di qualità e formazione del personale anche non medico da impiegare. Magari ne riparliamo fra quattro mesi, quando qualcuno, che non è Pomara, tirerà fuori il tema fra le priorità improvvisamente emerse. E continueremo a rincorrere…».

Non abbiamo parlato di Sicilia. Da componente del Comitato tecnico-scientifico regionale, qual è il quadro nell’Isola rispetto a quanto ci siamo detti?
«La logica regionalistica, rispetto a ciò di cui abbiamo parlato, non regge più. Al punto in cui siamo l’ordinanza di Musumeci sull’obbligo di mascherina nei luoghi affollati anche all’aperto resta una scelta saggia, ma non basta più in una logica globale. E lo hanno capito anche i governatori, tutti allineati sulla necessità della vaccinazione obbligatoria. Per il resto, il sistema sanitario siciliano ha continuato a reggere bene, nonostante i dati sulla copertura vaccinale siano rimasti bassi. Se mi chiede perché qui non abbiamo i numeri friulani o trentini di contagi e ricoveri, la risposta è: non certo per merito dei siciliani. Così come ci ha insegnato la prima ondata, il clima influisce molto. Adesso siamo baciati da un beltempo quasi estivo, ma quando si abbasseranno le temperature il Covid è lì che ci aspetta: se non si cambia passo, a partire dalla terza dose, il rischio di essere travolti dal colpo di coda della quarta ondata è molto concreto».
Twitter: @MarioBarresi

 

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Pubblicato da:
Fabio Russello
Tag: covid sicilia cristoforo pomara cts sicilia lockdown Sicilia mario barresi variante omicron sicilia