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Ripartire e contenere i contagi: i Paesi che ci sono riusciti e cosa manca all’Italia

Di Redazione |

C’è tanta incertezza sulla fase 2, è ovvio che l’Italia in qualche modo deve ripartire, il lockdown ha sì evitato lo tsunami sugli ospedali, ma c’è anche il serio rischio di una ripresa dei contagi. Ma guardando alle esperienze di certi Paesi sembra che l’Italia non sia ancora “attrezzata” per la ripartenza. Rispetto a nazioni come Corea del Sud, Taiwan, Nuova Zelanda e Australia, mancano alcuni passaggi fondamentali che hanno permesso in quei luoghi di mantenere un basso numero di contagi fermando il meno possibile le attività produttive e i movimenti dei loro cittadini.

Ad analizzare l’efficacia delle misure di contenimento dell’epidemia di coronavirus in Paesi come Taiwan, Core del Sud e Singapore ci ha pensato su Medium in  questo dettagliato articolo Tomas Pueyo, 33 anni, psicologo e imprenditore francese di origini spagnole vissuto in Italia e trasferitosi in California dopo la specializzazione in business administration all’Università di Stanford (qui la traduzione in italiano).

Taiwan, per esempio, con una  popolazione di 23 milioni di persone è riuscita a contenere il virus agendo tempestivamente, forte dell’esperienza dell’epidemia di Sars nel 2003, e con regole ferre: divieti di viaggio precoci e severi; l’obbligo di mascherine per tutti; multe fino a 100 mila dollari per chi diffonde fake news sull’epidemia; il «rilevamento proattivo dei casi»; il collegamento dei «database di viaggio e sanitari, in modo che gli operatori sanitari potessero sapere chi era a maggior rischio di infezione». Ma soprattutto hanno utilizzato i telefoni per monitorare che le persone fossero in quarantena (se qualcuno non aveva un telefono, il governo ne forniva uno), bastava che una persona spegnesse il telefono per più di 15 minuti che il governo riceveva una notifica. E chi non seguiva le misure di quarantena veniva multato e sottoposto a misure di sorveglianza ancora più dure. 

Pueyo fa il confronto con Singapore, Paese che ha adottato misure simili a quelle di Taiwan, ma troppo in ritardo. Singapore ha raccomandato l’uso delle mascherine solo ai malati, invece che a tutta la popolazione (come fa Taiwan). E ha impiegato un tracciamento dei contatti manuale, in cui gli operatori hanno cercato di ricostruire solo di presenza la rete di contatti dei contagiati. Solo un mese fa Singapore ha lanciato una app, ma l’ha scaricata soltanto il 20% degli utenti: troppo poco per risalire a tutti i contatti. Col risultato che il virus ha ripreso a circolare e le autorità sono state costrette a imporre nuovi lockdown. Proprio quello che si vuole evitare in Italia.

Nel nostro Paese, però l’app di tracciamento è ancora un’incognita, le mascherine sono ancora troppo costose e a ben vedere manca anche una screening di massa che possa far realmente capire a che punto è l’epidemia nel nostro Paese. Lo screening è previsto, con 150.000 test sierologici che saranno effettuati a breve, a partire dal 4 maggio, quindi in concomitanza con la fine del lockdown. Speriamo che non sia troppo tardi per rendersi conto della situazione. Perché  bruciare le tappe nelle riaperture potrebbe portare a un rimbalzo dei contagi.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA