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Migranti e virus, contagi non solo in barca: sott’accusa l’hotspot di Pozzallo

Di Mario Barresi |

Ma nel dossier di 55 pagine, che La Sicilia ha potuto leggere, c’è anche un altro macigno sulla gestione dell’hotspot: l’ipotesi che alcuni migranti sbarcati come negativi possano essere stati contagiati all’interno della struttura. In tutto i positivi registrati sono 138 su cinque diversi sbarchi. La task force, su questo aspetto, segnala «alcuni rilevanti bias analitici»: la «mancata conoscenza della totalità della popolazione esaminata per singolo sbarco»; l’«evidenza» che i dati sugli sbarchi siano relativi «piuttosto a trasferimenti da altri hotspot»; la somministrazione, dopo lo sbarco del 9 aprile, dei tamponi «presumibilmente ai soli individui sintomatici (così come suggerito dalle linee guida dell’epoca)».

Ma la denuncia più grave è su ciò che succede dopo lo sbarco del 25 luglio. Quando a Pozzallo arrivano 105 persone, di cui uno solo positivo. Ma la curva dei contagiati, fra le persone di quel barcone, segue subito un’evoluzione preoccupante con i successivi tamponi: il 27 luglio i positivi sono già 17, per arrivare a 31 sei giorni dopo lo sbarco e poi a 44 (il 12 agosto), fino al totale di 80, su 105 migranti controllati, il 18 agosto. «Ciò, ci induce ad affermare con ragionevole certezza che la possibilità di conversioni virologiche – si legge nella relazione – non è esclusivamente legata alla promiscuità del viaggio e della traversata, ma anche alla permanenza ed alla vita comunitaria condotta entro l’hotspot (conversioni virologiche verificate sino a 24 giorni dallo sbarco!)».

E il verdetto che accomuna l’hotspot di Pozzallo e il centro di Comiso è che «nessuna delle due strutture esaminate è idonea a ospitare soggetti positivi e a consentire l’esecuzione di una quarantena sicura». Anche perché «non sono presenti, in nessuna delle due strutture, delle aree “grigie” dedicate, destinate a contatti dei positivi (coloro che potrebbe avere da un momento all’altro una conversione virologica) o ai negativizzati da precedenti positività (coloro la cui negatività potrebbe dipendere da limiti di sensibilità legati alla esecuzione del tampone)». Inoltre, «si evidenzia un palese errore di classificazione del rischio che viene indicato in classe 2, quando in realtà deve essere in classe 3», il che potrebbe «determinare la sottostima delle misure previste per la prevenzione del rischio».

Un giudizio pesante, quello della task force coordinata da Cristoforo Pomara (ordinario di Medicina legale) e composta da Bruno Cacopardo (ordinario di Malattie infettive), Paolo Murabito (specialista in Anestesia e rianimazione), Santo Pettinato (Asp Siracusa), Venerando Rapisarda (ricercatore di Medicina del lavoro), Aldo Virgilio (specialista in Psichiatria), coadiuvati dal team medico-legale formato da Monica Salerno, Giuseppe Cocimano e Massimiliano Esposito. Gli esperti della Regione hanno descritto la situazione di Pozzallo anche con delle ricostruzioni in 3D dei locali dormitorio. In uno, a nord-ovest, di quasi 19 metri per 9,11 di grandezza, ci sono 27 letti a castello (nove disposti su tre file), «distanziati fra loro da circa 0,65 m». Molto meno del metro di distanziamento minimo anti-Covid. Nell’altro dormitorio, nell’ala a sud-est della struttura, lo spazio a disposizione è quasi lo stesso (18,5 per 9,5 metri), ma fra i letti a castello, tre file da quattro e tre file da tre, c’è una distanza di «circa 1,15 m». Il tutto in un contesto in cui «la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni e di svago, dovrebbe essere immediatamente intensificata in relazione alla numerosità degli ospiti».

Le annotazioni della task force non riguardano soltanto la qualità di vita dei migranti. «Le condizioni strutturali, le dotazioni tecnologiche, i percorsi da identificare e l’assenza degli stessi, rendono altresì impossibile – si legge nel dossier – garantire, in tali presidi, un’assistenza in emergenza-urgenza di eventuali condizioni di insufficienza cardio-respiratoria in sicurezza». E ciò riguarda tanto gli ospiti quanto «il personale operante». Per gli operatori in particolare si evidenzia poi il «rischio potenziale da esposizione», vista «la concentrazione di ospiti in luoghi chiusi non idoneamente areati in condizioni di permanenza prolungata in tali ambienti». Inoltre, il personale medico «non è mai stato sottoposto a visita medica, né a sorveglianza (esecuzione tamponi, test sierologici, ecc.) per la prevenzione» da Covid-19. Il tutto senza avere locali di vestizione «opportunamente dotati di soluzioni igienizzanti e contenitori per rifiuti», E gli esperti della Regione segnalano anche «il rischio burn-out per operatori di assistenza e addetti alla sicurezza». Ma su poliziotti, carabinieri e militari, aggiunge la task force, «non è stato possibile analizzare, all’esito degli attuali accertamenti, dati specifici circa la situazione clinica». Anche i frequentatori esterni dell’hotspot sono citati , in quanto «si rileva l’assenza di servizi igienici dedicati a fornitori/trasportatori e/o altro personale esterno».

Fin qui i cahiers de doléances. Tutte le «prime evidenti criticità» che diventano armi scientifiche nella battaglia di Nello Musumeci contro il governo nazionale. Tanto più che da oggi la task force sarà a Lampedusa per visitare l’hotspot. Ma il gruppo tecnico, come il coordinatore Pomara aveva assicurato al nostro giornale, rivendica un «ruolo proattivo». E infatti la relazione non si conclude con un verdetto di chiusura delle due strutture iblee. Ma con «alcuni urgenti correttivi». Il primo riguarda proprio il punto più debole: i tamponi. «Appare opportuno che, piuttosto che con la quarantena, la sorveglianza dei contatti stretti vada eseguita mediante ripetizione dei tamponi, fino a 8 giorni dall’ultimo contatto con i positivi», scrivono gli esperti. E ancora: «Sul lungo termine, sarebbe comunque consigliabile l’esecuzione di almeno tre tamponi complessivi, distanziati 8 giorni l’uno dall’altro, in tutta la popolazione ospitata, integrata da una sierologia conclusiva».

Ma la soluzione più «opportuna» sarebbe un’altra, ovvero «integrare, piuttosto che separare, le due strutture: ciò per il mantenimento (per un tempo che comunque non deve superare uno stazionamento di oltre 72 ore per ovvie ragioni logistiche) in separazione sicura dei negativi sicuri dai positivi sicuri e costoro dai “grigi”. Questo meccanismo è attuabile destinando negativi e “grigi” a due ambienti separati di un’unica struttura (esempio, Centro “Don Pietro”) e allocando i positivi, invece, in altra struttura (esempio Pozzallo)». E così, scrive la task force, si consentirebbe «la realizzazione di aree comuni, in cui potrebbe essere possibile realizzare un abbozzo di distanziamento, evitando temibili strutture “dormitorio” superaffollate».

Twitter: @MarioBarresi

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