CATANIA – «Ieri ho fermato una “volante” per strada e ho chiesto ai poliziotti… “Scusate, ma c’è gente dappertutto… Forse non è stato recepito il messaggio?”». Prova a non perdere la calma che lo contraddistingue il professore Bruno Cacopardo, docente di Malattie infettive e responsabile del reparto in prima linea al Garibaldi Nesima. Il professore che è anche componente del comitato scientifico della Regione non si capacita per quanto sta avvenendo in città.
Cosa ha notato, cos’è che non va?
«Vede ho il timore che i catanesi hanno temporizzato la data sino a quando dovevano stare a casa, forse sino a fine marzo. Non ho capito cosa sta accadendo, ma la gente sta reinterpretando autonomamente la restrizione perché ho visto troppa gente che gironzola. E’ pazzesco».
Si è fatta una idea su come mai Catania ha il maggior numero di casi della Sicilia?
«Catania è partita più poderosamente nei contagi rispetto al resto dell’isola perché in primis ha un aeroporto internazionale che ha più voli di Palermo e alcuni “spezzati” provenienti dalla Cina, proprio all’epoca in cui l’epidemia era un fatto solo cinese. La seconda ragione sta nel fatto che Catania è tradizionalmente una città attiva dal punto di vista industriale e commerciale, dove i contatti tra persone sono più numerosi. Infine ha una tendenza a socializzare di più. La stessa movida catanese non si è arrestata sino a quando il decreto è diventato più pesante e ha continuato come se niente fosse. E non dimentichiamoci il lungomare affollato anche quando erano cominciati i divieti. Direi che c’è una componente legata anche all’indole catanese. Ora questi eventi hanno determinato l’ingresso del virus più precocemente e pesantemente nel Catanese. E Catania ha avuto per prima il picco».
Il picco a Catania è stato raggiunto?
«Siamo più o meno all’altezza. Abbiamo raggiunto precocemente e non pesantemente il picco. Devo dire che le proiezioni epidemiologiche in nostro possesso indicavano dati più catastrofici rispetto al numero di ospedalizzazioni, ma i decreti restrittivi emanati hanno evitato l’aumento. Per fortuna oggi stiamo vedendo un appiattimento della curva che è legata all’obbligo di restare a casa. Ora se la gente pensa che è finito tutto e esce per strada in allegria, cosa che io sto vedendo nel catanese che è un po’ anarcoide, rischiamo di rovinare tutto perché daremmo libero spazio al virus facendo riprendere l’andamento di risalita».
Allora dobbiamo resistere ancora per due settimane?
«Spiace doverlo dire ma i cittadini devono resistere almeno altri 15 giorni. Ma vorrei essere più chiaro: quando azzereremo i contagi dovremo continuare a stare molto, ma molto attenti. Non sarà possibile ancora socializzare, ad esempio far ripartire la movida… perché l’impennata di casi potrà essere evitata rimanendo il più possibile a casa per il doppio del numero di giorni della incubazione del virus».
E quindi, professore?
«Per altri trenta giorni dall’azzeramento dei casi. So che questo mi attirerà molte antipatie, ma ancora per un mese dall’azzeramento bisognerà ridurre drasticamente i contatti sociali per evitare una nuova impennata. Sono molto speranzoso però che già da metà aprile cominceremo a vedere un po’ di luce. A fine aprile parecchia luce e infine a maggio ne usciremo».
Ma vi siete fatti una idea precisa di quando questo zero contagi possa essere raggiunto?
«L’epidemia ha caratteristiche di imprevedibilità. Nel Nord si è diffusa come un vasto incendio che si è esteso su tutta l’area. In Sicilia l’andamento è, per fortuna, andato avanti per piccoli incendi che noi chiamiamo in terminologia clusters, eventi concentrati in aree topografiche ristrette e questa aree sono le case di riposo, le Rsa, gli ospedali… Ora se noi scorporiamo i dati di contagi in queste strutture dai dati complessivi siciliani si vedrà che l’incendio in totale è piccolino, ma quello che ha dato vigore all’incendio è stata la clusterizzazione…».
Spenti questi si risolve buona parte dell’epidemia?
«Sì, attraverso la delimitazione del focolaio».
A Catania si sostiene che i dati potrebbero essere falsati per il ritardo nell’esame dei tamponi…
«C’è la necessità che i tamponi vengano utilizzati in maniera più opportuna per identificare la distribuzione dell’infezione e delimitare i nuovi contagi».
Cosa ne pensa dello screening avviato all’Università di Catania dal prof. Crimi per individuare le IgG e le IgM?
«Anche noi abbiamo fatto 65 di queste analisi e devo dire che è un buon sistema. Ci sono due, tre cose tecniche da affinare perché ci sono vantaggi e svantaggi. Il vantaggio è la semplicità e il fatto che il risultato arriva dopo una ventina di minuti. Lo svantaggio è l’inattendibilità nel 10% dei casi sui malati. E difatti quando abbiamo proceduto a fare lo screening sui malati Covid abbiamo constatato che nel 10% dei casi anche i malati risultavano negativi. Quindi l’analisi produce anche falsi negativi. Stiamo cercando di capire come potere agire…».