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La storia di Valeria, la 32enne down di Adrano morta sola in ospedale

Di Pierangela Cannone |

Covid e disabilità: un binomio spinoso. Valeria Scalisi, 32 anni di Adrano, affetta dalla sindrome di Down, è morta lo scorso 27 novembre nel reparto di rianimazione del Policlinico, dov’era ricoverata per Covid da dieci giorni, dopo averne trascorsi altri tre nel pronto soccorso del nosocomio.

Secondo la ricostruzione dei familiari, i medici avrebbero sedato la ragazza «perché non collaborava alle cure», portandola nel reparto di terapia intensiva. Ma che fosse incapace di badare a sé stessa ne era pienamente consapevole soprattutto la sorella Giusi, «ecco perché – dice – ho insistito di potere assistere Valeria durante la degenza. Anche io ero positiva al Covid. Non c’è stato verso: i medici hanno risposto che era impossibile».

In effetti, ai parenti dei pazienti, in osservanza delle regole imposte dall’emergenza sanitaria, è fatto divieto di entrare tanto in reparto quanto in pronto soccorso, impedendone l’assistenza, a prescindere che si tratti di anziani, diversamente abili e malati cronici. Ed è proprio questo effetto “livella” che lascia l’amaro in bocca.

«Chiediamo attenzione – afferma la presidentessa provinciale dell’Associazione italiana persone Down, Aida Fazio – affinché Valeria non sia seppellita in silenzio. Il grido silenzioso di noi genitori deve farsi sentire. Sono indignata, convinta che la causa di questa perdita sia anche l’incuria dell’uomo. La morte di Valeria poteva essere evitata. Chiediamo, pertanto, che si rivedano le normative sanitarie e che sia sempre prevista la presenza di un caregiver (badante, ndr) familiare accanto alla persona con disabilità in caso di ricovero ospedaliero. Ma il mio pensiero va anche agli autistici, ai malati di Alzheimer, agli anziani: a tutti coloro che necessitano di un supporto costante e per cui la figura dei familiari è insostituibile».

Purtroppo, però, il Covid ha spento Valeria, privandola pure dell’affetto della mamma che continuava a cercare mentre era in ospedale, dove è facile immaginare che si sentisse smarrita. «Chissà cosa avrà pensato – si interroga la sorella Giusi – quando non ha visto arrivare la sua mamma. Si sarà sentita abbandonata? Quando è stata portata via da casa in ambulanza, lo scorso 14 novembre, ha pianto tanto e durante la permanenza in pronto soccorso non ha collaborato con i medici, così come loro stessi ci hanno raccontato: non indossava la mascherina e non voleva reggere con le mani il dispositivo dell’ossigeno. Per questo è stata sedata e trasferita nel reparto di rianimazione. Da quel momento c’è stata tanta confusione nella comunicazione con l’ospedale: ben tre volte mi hanno detto che era deceduta, confondendola con altri pazienti. Ormai Valeria non c’è più, ma è importante raccontare la sua storia affinché ci si renda conto che, nonostante l’emergenza, non si possono lasciare soli i disabili, gli impotenti e i fragili».

A unirsi al grido di dolore della famiglia Scalisi è anche il comitato “Siamo handicappati, no cretini”, che si appella alle linee guida dettate dall’Istituto superiore di sanità circa l’ospedalizzazione di persone con disabilità intellettiva affette da Covid. «Nel corso del ricovero – recita il documento – particolare attenzione andrà dedicata (…) alla presenza di un caregiver adeguatamente formato (…) nell’ottica di alleggerire al massimo il sovraccarico per la persona e diminuire i rischi per la persona e per il contesto». Ma la sorella di Giusi, il Covid già ce l’aveva. Sarebbe, quindi, potuta restare a fianco di Valeria, com’è stato per la mamma di Gabriele, 37 anni e una grave disabilità, che ha assistito il figlio ricoverato nell’ospedale di Lecce e anche lei positiva al virus?

Intanto, l’azienda Policlinico fa sapere che non è stato possibile fare assistere Valeria durante i due giorni trascorsi al pronto soccorso e quelli in rianimazione perché «i protocolli in atto legati alla pandemia – si legge in un nota – per motivi di sicurezza nei confronti del personale, delle maestranze che lavorano all’interno e degli altri pazienti non prevedono l’accesso ad accompagnatori a qualsiasi titolo. Come fatto per tutti i pazienti, sono state date informazioni giornalmente al numero telefonico che la famiglia aveva lasciato (della sorella) ed è stata anche effettuata videochiamata per fare vedere la paziente che ovviamente non interagiva perché sedata e intubata. L’azienda, per ovviare a tale criticità, si è attivata di concerto con il Comitato consultivo aziendale e con le associazioni dei disabili ed ha previsto l’attivazione di un tavolo tecnico per lavorare con urgenza ad una procedura che consenta di superare tale criticità, pur nel rispetto della sicurezza delle cure».

Ai familiari di Valeria, intanto, restano «tanti dubbi, troppi. Ci appelliamo all’umanità».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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