CATANIA – Che l’Isola non cambiasse colore era certo: arancione fisso, almeno fino al 20 novembre. Molto meno scontato era il miglioramento di alcuni parametri del monitoraggio dell’Istituto superiore di Sanità. A partire dal l famigerato Rt: in Sicilia l’indice di trasmissibilità cala (nella media spalmata su 14 giorni) dall’1.42 del 25 ottobre all’1.40 dell’1° novembre. E, nell’ultima stima settimanale della cabina di regia nazionale, scende addirittura a 1.28, in una forbice fra 1.23 e 1.34, «calcolato sulla base della sorveglianza integrata Iss».
È una fotografia in parte già “vecchia” perché scattata su dati di quasi 10 giorni fa. Ma è la stessa “anzianità” retrospettiva del quadro che condannò la Sicilia al quasi-lockdown disposto dall’ultimo decreto di Giuseppe Conte e dalla successiva ordinanza del ministro Roberto Speranza. Eppure quello appena ufficializzato a Roma è un dato importante. Proprio un Rt vicino alla soglia d’allerta di 1.50 ha condizionato, fra gli altri indicatori, le misure più restrittive del governo al di sotto dello Stretto. E ora, quando quasi tutte le regioni mostrano una preoccupante crescita (la media nazionale è salita a 1.73, con Lombardia a 2.08, Basilicata a 1.99, Piemonte a 1.97), il trend siciliano è in controtendenza. L’Isola è fra le cinque regioni con Rt sotto 1.50. Il che – in quanto a rischio di trasmissione del Covid – promuove la Sicilia da “scenario 3” a “scenario 2”; da non confondere però con la classificazione complessiva, che è la somma di tutti i 21 indici.
È stato diffuso ieri il “Report 45”, l’ultimo di Iss e ministero della Salute con dati relativi alla settimana fra il 26 ottobre e il 1° novembre (aggiornati al 7 novembre). Per la cabina di regia nazionale, la «classificazione complessiva del rischio» in Sicilia resta «alta», ma senza più la «probabilità alta di progressione» che c’era nel dossier del 25 ottobre. (GUARDA QUI l’AGGIORNAMENTO DELL’ISS). Ma permangono «molteplici allerte di resilienza dei servizi sanitari territoriali».
Due, in particolare. L’indice 2.1, la «percentuale di tamponi positivi», risulta in aumento: dal 7,9% (3.182 su 40.475) al 12,2% (5.686 su 46.705) in appena una settimana, se si considerano i dati al netto di test ripetuti allo stesso soggetto e screening. Il tasso lordo, nell’“Aggiornamento epidemiologico” di Iss firmato dal presidente Silvio Brusaferro, è più alto: nell’Isola, fra il 19 ottobre e il 1° novembre, ogni 100 tamponi 17,7 sono con esito positivo.
La seconda «allerta di resilienza» è sull’efficacia del tracciamento: considerato «sotto soglia» (83,6%) l’indice 2.6, che misura il rapporto fra i positivi «per cui sia stata effettuata una regolare indagine epidemiologica con ricerca dei contatti stretti» e il «totale di nuovi casi di infezione confermati». Gli altri elementi negativi sono l’andamento settimanale dei contagi (6.115 i nuovi positivi in sette giorni, 123,08 casi per 100mila abitanti) e il trend dei focolai locali (da 504 a 630 quelli attivi, 153 i nuovi cluster).
Ma l’emergenza più grave è strutturale: confermata la «probabilità di una escalation a rischio alto nei prossimi 30 giorni», stimata in «più del 50%», sulla saturazione dei posti in terapia intensiva (21% al 2 novembre, ma il limite del 30% è stato di fatto sforato negli ultimi giorni) e nelle degenze di area medica (il 29%, sempre più vicino alla dead line del 40%).
Ma, rispetto all’ultimo monitoraggio, qualcosa è migliorato. La valutazione della probabilità di diffusione del virus in Sicilia è «moderata» (prima quella sull’aumento della trasmissione era «alta»), mentre si conferma una valutazione di impatto «bassa».
Cosa cambia concretamente? Per ora niente. Se il governo dovesse decidere oggi – ma non lo farà prima del 3 dicembre – la Sicilia si confermerebbe zona arancione: la «classificazione del rischio» resta «alta», e lo è da più di tre settimane consecutive.
Ma i dati (soprattutto l’indice Rt in calo, ora da “scenario 2”), ci dicono comunque alcune cose. La prima, la più istintiva e oggi inutile, è che, nella scelta dei pennarelli con cui il governo ha colorato l’Italia, forse il rischio dell’Isola era stato sopravvalutato; la seconda, a corollario, è che la Regione non aveva barato. Troppo presto per inoltrarsi su ipotetici nessi fra le misure restrittive e il nuovo trend in Sicilia: i dati su cui si fonda il monitoraggio di ieri sono antecedenti all’entrata in vigore dell’ultimo Dpcm e semmai qualche beneficio potrebbe essere arrivato dalla precedente ordinanza di Nello Musumeci. Ma è lo stesso assessore alla Salute, Ruggero Razza, a frenare: «Ancora è troppo presto per essere ottimisti. E anche sui potenziali effetti della stretta regionale io resto molto guardingo. Mi basta che si sia registrato che noi, contrariamente ad altri, abbiamo sempre detto la verità».
Non c’è nemmeno il tempo per godersi qualche boccata d’ossigeno. La Sicilia (231,66 casi ogni 100mila abitanti nella media degli ultimi 14 giorni considerati) è a distanza del quadro di una «situazione epidemiologica» che «continua a peggiorare», con «oltre 500 casi per 100mila abitanti e quasi tutte le regioni pesantemente colpite», descritto dall’Iss. Ma non bisogna dimenticare le «forti criticità dei servizi territoriali e il raggiungimento attuale o imminente delle soglie critiche di occupazione dei servizi ospedalieri in tutte le Regioni».
E su questo aspetto la Sicilia è in affanno. «La pressione sui nostri ospedali continua a essere notevole», ha ammesso ieri sera Razza in un incontro con i sindacati della sanità. Da oggi, dunque, si riparte. Dal piano di potenziamento di reparti Covid terapia intensiva. E dal documento «per affrontare sistematicamente la questione delle cure domiciliari», sul tavolo del Comitato tecnico-scientifico regionale. Che ora, in base ai nuovi dati Iss, potrebbe anche lasciare dentro il cassetto il parere su «misure più restrittive in Sicilia» di cui si vocifera. Sperando di non doverlo più tirare fuori. Ma è meglio conservarlo, non si sa mai.
Twitter: @MarioBarresi