Covid-19
Grazie al basso indice di contagi in Sicilia, ora Musumeci spinge sul turismo
CATANIA – La speranza è fondata su un numero decimale: 0,34. È il valore dell’indice di contagio R0, l’ormai celebre “erre con zero”, in Sicilia. Quello 0,34, per intenderci, indica il numero medio di casi generati da un individuo infetto.Sicilia ultima per indice di contagio. E se – secondo quanto emerge dallo studio firmato dall’Istituto superiore di sanità e dalla Fondazione Bruno Kesler – al 6 aprile la media nazionale è dello 0,50 nelle 15 regioni analizzate sulla base di dati di «sufficiente qualità», la Sicilia con lo 0,34 ha il dato migliore, mentre l’Emilia Romagna con lo 0,71 ha il dato peggiore. Per avere un ordine di misura: fra il 10 e il 25 marzo, nei giorni del lockdown nazionale dichiarato dal governo, l’erre con zero è passato da 2-3 (spaventosamente alto) a 1 in tutta Italia. E adesso, quasi due settimane dopo, è sceso fino a essersi dimezzato.
Un altro dato interessante dello studio della Fondazione, che aiuta a leggere i bollettini che ci vengono forniti a livello nazionale e regionale, riguarda i “tempi dei dati”. «Il ritardo medio dalla data di esposizione (al virus) alla data di decesso è di 18 giorni». Questo periodo «aumenta con l’evolversi dell’epidemia» e comprende a sua volta quattro intervalli di tempo: fra esposizione e inizio sintomi; fra inizio sintomi e diagnosi, fra diagnosi e ricovero; fra ricovero e decesso. «Questo – si legge ancora nello studio – significa che un decesso che viene notificato oggi è spesso riconducibile ad una persona che era stata esposta al virus 2-5 settimane prima».
Si può parlare di un “modello Sicilia”? Nello Musumeci vola basso: «No, c’è stato un bellissimo gioco di squadra. Noi abbiamo seguito la linea della fermezza e del rigore, isolando gli accessi per oltre il 94 per cento rispetto al traffico ordinario. E la gente è stata rispettosa nell’osservare le norme». Solo adesso, ammette al Tg2, «i risultati si vedono e i numeri sono dalla nostra parte».
Dati disomogenei nell’Isola. Secondo i dati diffusi ieri dalla Regione, per la prima volta s’è invertito il segno degli attuali contagiati: -48, per la prima volta senza il “più” che ha contraddistinto il quadro sin dall’inizio delle rilevazioni. . Un altro motivo per considerarsi fuori dal tunnel? Soltanto in parte. E non soltanto perché sui positivi ci sono province in cui continuano Perché, sempre a proposito di numeri, però, c’è da aggiungere che la situazione nell’Isola non è omogenea. Lo conferma, ad esempio, un report del dipartimento per le Attività sanitarie e Osservatorio epidemiologico regionale , con dati aggiornati al 22 aprile. A partire da quello più grave: il numero di morti. Sulla base dei 197 analizzati, «integrando la piattaforma dell’Istituto Superiore di Sanità con quella derivante dalle segnalazioni dei Dipartimenti di prevenzione delle Asp», l’Osservatorio annota (oltre all’età media di 77,2 anni, con il 59% di uomini e il 51% di pazienti con cronicità pregresse) che in numero assoluto il 36% dei decessi s’è verificato a Catania, seguita da Messina (21%), Enna (12%) e Siracusa (21, pari all’11%). Sotto la doppia cifra le altre province: Palermo (7%), Agrigento e Caltanissetta (5%), Ragusa (3%) e Trapani (2%).
E se la Sicilia, nei dati aggiornati al 24 aprile, è ultima in Italia per tasso di deceduti ogni 10mila abitanti (0,4 insieme a Basilicata e Calabria, mentre in Lombardia c’è il 13), questo dato non è uniforme in tutte le zone dell’Isola. Un trend che ricalca anche quello dei contagiati: se il tasso grezzo (numero di positivi per ogni 100mila abitanti) a livello regionale è del 59,30, ci sono tre province ben oltre questa asticella: Catania (80,29), Messina (85,84) ed Enna (addirittura 228,88, comunque sotto la media nazionale di 299,03), mentre anche in questo caso ci sono delle “isole nell’Isola”, come Enna e Trapani sotto il 30- Fase 2, Musumeci punta sul turismo. Anche per queste ragioni, il progetto della Regione per il dopo 4 maggio è tutt’altro che antiproibizionista. Le misure, certo, vanno integrate con il piano del governo nazionale. Ma Musumeci ha già le idee chiare su alcune specifità siciliane.
Da un lato le restrizioni aggiuntive. Se nei ristoranti ci saranno spazi ridefiniti a partire dal 18 maggio con almeno due metri di distanza fra i clienti e camerieri con guanti e mascherine, in Sicilia si pensa addirittura a vietare la circolazione del menu sui tavoli in quanto potenziale veicolo di trasmissione del contagio, come emerso in una riunione all’assessorato alle Attività produttive, citata dal Giornale di Sicilia, per fare il punto sulle misure da sottoporre ai gestori. L’altra opzione “autonomista” riguarda i negozi di abbigliamento: al divieto di provare gli abiti, in Sicilia si potrebbe aggiungere quello di coprirli con plastica trasparenti per evitare anche il semplice contatto con i clienti, così come suggerito dagli esperti della task-force regionale.
Ma c’è qualche settore in cui la Regione invece spinge per accelerare il ritorno alla normalità. Uno di questi è il turismo. «Venire in Sicilia, quest’ estate, deve diventare quasi una tappa obbligata», è la richiesta-slogan che Musumeci – rincuorato dai dati epidemiologici, ma pur sempre convinto che «si deve verificare la tenuta di tutto il sistema dopo il 4 maggio» – proporrà al premier Giuseppe Conte in una riunione in videoconferenza della cabina di regia Stato-Regioni. «L’economia siciliana è in ginocchio. Le imprese hanno bisogno di ossigeno e non basta certo quello dato dalle iniziative del governo regionale, ma adesso serve che Roma faccia la sua parte. E in questo il turismo rappresenta un punto fondamentale».
Oggi Musumeci ai microfoni di RaiNews ha ribadito il concetto: «Siamo una delle regioni più sicure» sotto il profilo del numero di contagi, «ma non apriamo le porte dell’isola senza cautele», cominceremo con “il turismo autoctono”, e “si potrà anche aprire all’estero se i dati epidemiologici ce lo consentiranno».
Twitter: @MarioBarresi
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