CATANIA – Partiamo dai numeri. Che sono, nella loro apparente freddezza, alla giusta distanza fra la retorica dell’eroismo e le ataviche colpe della politica. In Sicilia, sul totale dei contagiati, quasi uno su dieci indossa un camice. È il tributo – fisiologico, quasi naturale, eppure evitabile in questa misura – che il personale sanitario ha pagato e sta continuando a pagare nell’emergenza Covid-19. Tre, finora, le vittime siciliane fra le 121 del “cimitero virtuale” sul sito nazionale dell’Ordine dei medici.
Le statistiche (e non solo) su dottori, infermieri e operatori sociosanitari risultati positivi nell’Isola sono contenute in uno studio dell’Osservatorio epidemiologico regionale. I cui dati si fermano ai primi di aprile. «Fra i soggetti risultati positivi si osserva una significativa percentuale di operatori sanitari. Tale proporzione ammonta in Sicilia al 7% del totale dei contagiati», si legge nel dossier. Che fornisce una cifra precisa: 114 positivi fra gli operatori sanitari dell’Isola. Un dato ricavato quando nella piattaforma della Regione (una banca dati diversa dal bollettino della Protezione civile) si registravano 1.587 positivi.
La sequenza storica fornisce il trend del contagio: un tasso basso, fra il 3 e il 5%, nella fase iniziale del contagio (primo positivo nella settimana fra il 28 febbraio e il 5 marzo); poi una progressiva crescita (12%, ovvero 64 casi su 520, fra il 20 e il 26 marzo), fino al 14% (18 sui 128 infetti) del periodo compreso fra il 27 marzo e il 2 aprile. L’ultima rilevazione si ferma all’indomani: 3 positivi su 10 censiti nella piattaforma dell’Osservatorio. Il 30%. Il conteggio si ferma lì: 114 su 1.587; il 7,18%. Ma è molto più che presumibile che negli ultimi dieci giorni il tasso sia aumentato, pur nel calo dei contagi in numeri assoluti, fino almeno al 10%.
Anche perché, come rileva l’Osservatorio, gli operatori sanitari sono «una categoria particolarmente a rischio» anche «a seguito dei diversi focolai nosocomiali o comunitari». Con ben più di una decina di focolai, fra corsie ospedaliere e strutture per anziani e disabili, scoppiati anche negli ultimi tempi, fra cui il clamoroso caso dell’Oasi di Troina, con 64 operatori risultati positivi. Un dato non del tutto sovrapponibile a quelli dello studio epidemiologico (che si ferma prima), ma di certo indicativo di un trend in crescita, seppur molto localizzato in aree e strutture.
Lo studio fornisce anche altri due elementi: «L’età mediana fra gli operatori sanitari risultati positivi è di 50 anni e si registra una proporzione di uomini pari al 43,9%». I contagiati col camice, dunque, sono più giovani della media regionale (57 anni) e sono sopratutto donne: più del 56%.
E resta agguerrito Angelo Collodoro, vicesegretario regionale del Cimo, che rievoca «i ritardi nella fornitura di mascherine e guanti» e «i tanti colleghi in prima linea che hanno chiesto invano un tampone, proprio nei giorni in cui esponenti della casta facevano i test solo per essere stati accanto ad altri politici risultati positivi». Per il sindacalista dei medici, alla fine, «s’è perso almeno un mese di tempo».
Ma adesso, fanno notare dalla Regione, la situazione è molto diversa: i dispositivi di protezione sono arrivati quasi ovunque. E il personale sanitario, dopo essere stato indicato nella lista dei tamponi obbligatori disposti da un’ordinanza di Nello Musumeci (di fatto effettuati solo su alcuni soggetti più esposti), rientra nel massiccio piano di screening epidemiologico avviato proprio ieri dall’assessore Ruggero Razza. Test sierologici praticamente su tutta la categoria. Al termine dei quali avremo l’esatta contezza del prezzo pagato dagli operatori sanitari in quest’infinita pandemia.
Twitter: @MarioBarresi