Covid
Fine stato di emergenza, Musumeci: «La Sicilia pronta per entrare nella fase3»
Il governatore siciliano traccia un bilancio degli ultimi due anni e dichiara: «Pandemia gestibile con mezzi ordinari, ma alcune attività proseguano»
Presidente Musumeci, fra qualche ora anche i siciliani entreranno in un’altra fase dell’interminabile tunnel del Covid. Ma la fine dello stato d’emergenza nazionale non significa che l’emergenza è finita. Come si concilia la voglia di ritorno alla normalità con la necessità di restare in guardia? «Se penso agli anziani e ai più giovani, alle famiglie che hanno conosciuto timori mai provati e che hanno anche pianto migliaia di morti; se penso a chi ha sofferto per la distanza degli affetti più cari, il valore simbolico della fine dello stato di emergenza porta con sé un carattere evocativo molto forte. Si chiude una fase, se ne apre una diversa, quella di una emergenza che non è finita ma che può bene essere gestita con mezzi ordinari e con l’esperienza forte di questi due anni. Per me è anche l’occasione per lanciare un duplice messaggio: anzitutto di gratitudine, per tutti gli operatori della sanità che da due anni sono in prima linea, per i volontari che hanno lavorato senza sosta, per quanti hanno prestato la propria professionalità nel gestire la pandemia con successo; poi di attenzione e di vigile cautela, per tutti i cittadini siciliani che non devono perdere le buone abitudini di questi mesi difficili, dal distanziamento al disinfettante per le mani, dalla mascherina nei luoghi affollati all’evitare gli assembramenti domestici, solo per fare alcuni esempi».
Le Regioni sono quasi sempre state compatte. Anche nel nuovo scenario ci sono delle richieste al governo? C’è qualche aspetto a cui tiene in particolare la Sicilia? «Ho scritto al presidente Draghi, come hanno fatto numerosi miei colleghi. La fase di passaggio va gestita con attenzione e ci sono alcune attività che devono necessariamente essere proseguite, nello spirito con cui il governo nazionale ha approvato il decreto legge pubblicato la scorsa settimana. Non possiamo permetterci di abbassare i controlli agli arrivi in Sicilia, non possiamo diminuire la nostra efficienza nel contact-tracing, non possiamo bloccare le attività di supporto domiciliare e territoriale, non possiamo rallentare il potenziamento delle rete ospedaliera. Sono tutti obiettivi che ho posto al premier, al pari di altre Regioni, per realizzare i quali il governo centrale può delegarci a proseguire nelle attività in fase avanzata di realizzazione e di contenimento della diffusione del virus. Mi aspetto che arrivi una decisione nelle prossime ore».
Può essere già l’ora di tracciare un primo bilancio. Sono stati sciorinati di continuo i dati, prima su contagi e ricoveri, poi sui vaccini, con la Sicilia in altalena fra luci e ombre. Ma le chiediamo di andare oltre: qual è il giudizio “politico” sulla gestione del Covid in Sicilia? «Non devo dirlo io più di quanto non abbiano costantemente monitorato i cittadini o gli istituti demoscopici. C’è stato un gradimento diffuso soprattutto della organizzazione della campagna vaccinale negli hub e con i medici di famiglia, ma ho letto report convincenti sulla gestione ospedaliera e delle attività di assistenza al domicilio. Allo scoppio della pandemia abbiamo “chiuso” gli accessi all’Isola del 95 per cento, riducendo aerei e treni e sospendendo i collegamenti navali. Siamo stati la prima Regione a rifornirsi direttamente all’estero di dispositivi personali di protezione quando da Roma non ne arrivavano; ci siamo premurati ad aprire i Covid Hotel, prima ancora che da Roma arrivasse la richiesta. Abbiamo realizzato i primi Hub vaccinali e informatizzato le attività assistenziali come mai era accaduto prima. Abbiamo lavorato con il sostegno di un Cts regionale, cui si devono analisi e proposte che tante volte hanno anticipato di mesi le decisioni nazionali. Siamo stati per il rigore nelle chiusure e abbiamo costantemente adottato una linea importata al massimo contenimento del rischio. Poi, per carità, nessuno aveva studiato sul manuale di gestione della pandemia, in nessuna parte del mondo. Ma in coscienza penso si debba dire che la Sicilia ha avuto performance non diverse da quelle delle più grandi Regioni italiane. Se lo dicono fuori dalla Sicilia, è singolare che alcuni di noi vogliano dare un’ impressione diversa, ma che vuole… siamo fatti così, noi siciliani. Guardiamo l’erba del vicino e non solo la vediamo più verde, siamo persino disposti ad annaffiarla!» .
La risposta al Covid ha richiesto un “esercito” ben strutturato. Ritiene giusto prorogare tutti i precari impegnati nella fase più acuta dell’emergenza? Ci sarà un ruolo anche per i tre commissari delle città metropolitane? «Nel decreto legge appena pubblicato il governo chiede alle Regioni di lasciare in campo le attività organizzative e logistiche e di svolgere tutte quelle azioni strumentali al contenimento della pandemia. Ovviamente se servono minori ore di lavoro, si dovrà impiegare il personale in aderenza al bisogno reale. Ma noi, come gli altri, contiamo ancora oggi migliaia di casi al giorno, che devono essere censiti, e alimentare i flussi per il monitoraggio della pandemia. Poi, ci sono le strutture per i tamponi, per i vaccini, in vista di una annunciata quarta dose, e per la continuità assistenziale e la gestione dei casi al domicilio. Ci sono migliaia di ragazzi che hanno lavorato senza guardare l’orologio e che hanno maturato un’esperienza che va valorizzata. Per le strutture commissariali, la loro attività è stata molto utile perché ha rafforzato i dipartimenti di prevenzione e i distretti territoriali, sempre sacrificati nel passato e sottodimensionati nella organizzazione delle aziende sanitarie, e hanno garantito il raccordo nelle tre città in cui ci sono quattro aziende per ogni provincia. Questa attività, come accaduto con la struttura del generale Figliuolo a livello nazionale, entra in una fase nuova. Non è solo una prosecuzione, ma la graduale internalizzazione nelle organizzazioni aziendali. In un concetto: prepara la fase tre, quella post-emergenziale».
Uno dei riscontri mediatici peggiori per l’Isola è stata l’inchiesta sui falsi dati Covid, che ha coinvolto anche l’assessore Razza. A mente più fredda, che idea le resta di questa vicenda? «Non ne ho seguito da vicino l’evoluzione, ma ho appreso che è stato accertato nel corso delle indagini che la Sicilia non ha mai, in nessuna occasione, ricevuto una valutazione ministeriale che non fosse conforme all’effettivo andamento dell’epidemia. Anzi, proprio i consulenti dell’Istituto superiore di sanità hanno richiamato i verbali della cabina di regia in cui venne accolta la mia richiesta di provvedimenti più forti e di istituire una zona rossa regionale. È un contesto molto diverso da quello originariamente rappresentato. Ma l’avvocato Razza non ha bisogno di un difensore aggiuntivo: c’è già l’ottimo Enrico Trantino. Da presidente della Regione posso solo dire che credo che la Sicilia abbia agito come tutte le altre Regioni, nel bene e negli errori. E Razza ha dimostrato di essere competente e autorevole nel suo ruolo. Lo ringrazio di cuore».
La ripartenza ha un acronimo magico: Pnrr. Più volte lei ha preso le distanze da un Piano che ha coinvolto davvero poco le Regioni. C’è il rischio che l’eldorado di miliardi di fondi, alla fine, per la Sicilia sia l’ennesima occasione sprecata? «Non possiamo permetterci di vedere sprecate le risorse, noi più di altri. Sono stato tra i primi governatori a invocare un ripensamento sul Piano attuale, dettato da due ragioni: i tempi di progettazione e il mutato contesto legato anche al conflitto in Ucraina. La Sicilia, penso al tema energetico, potrebbe dare molto di più all’Italia di quanto non faccia oggi. Siamo convinti che il Pnrr sia un’opportunità? Bene, allora facciamo davvero tutto quello che si può per garantire che non sia disancorato da un modello di sviluppo e per questo ritengo che la nuova programmazione 2021-27 debba essere complementare agli investimenti nazionali previsti. Parla un presidente di Regione che quando si è insediato ha trovato certificati appena sette milioni di euro. A oggi ha superato oltre due miliardi di spesa, senza contare gli altri fondi comunitari. E senza che un solo euro sia stato messo in dubbio».
Il Covid ci ha segnati anche dal punto di vista umano. Provi a sfogliare l’album dei ricordi: quali sono le “fotografie”, la più brutta e la più bella, che le resteranno impresse? «Fermiamoci in Sicilia. La foto più brutta è quella di via Etnea completamente deserta in pieno giorno, come deserte erano le vie principali di tutte le città siciliane. Un frammento di emozioni, spezzato dal dolore che veniva trasmesso dalle tv con le immagini di lutti e la desolazione in ogni angolo del pianeta. Al contrario, l’immagine che più di tutte restituisce la sofferenza di tanti è quella di una vecchietta che lascia l’ospedale dopo aver superato l’infezione. Mi hanno colpito le parole trasmesse sul web: aveva visto la guerra, aveva vinto sul Covid e invitava i giovani alla speranza. È un’invocazione che può essere estesa a tutto, anche in queste difficili giornate di conflitto bellico e di crisi economica e sociale. Possiamo rialzarci, sempre. Anche quando tutto sembra impossibile». Twitter: @MarioBarresi COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA