CATANIA – Sulla gestione della fase 2 in Sicilia, il presidente della Regione «ha un potenziale piano B sul suo tavolo», che contiene «una stratificazione del rischio ben più rigida e ponderata». E, soprattutto, senza «le conclusioni, con alcuni passaggi a vuoto e incoerenze scientifiche», a cui arriva il decreto di Palazzo Chigi. Parola di Cristoforo Pomara, docente ordinario di Medicina legale all’Università di Catania, fra i componenti del comitato tecnico-scientifico della Regione nell’emergenza coronavirus. I “saggi”, già il 18 aprile, hanno consegnato a Nello Musumeci un documento (del quale La Sicilia ha pubblicato ampi stralci) su come gestire la riapertura. «Un atto tecnico – precisa Pomara – sul quale il presidente, se lo ritiene, può fondare le scelte politiche, comprese quelle di discontinuità rispetto alla linea del governo nazionale». Anche perché, «visto che nell’ultimo dpcm i confini delle regioni restano “murati”, avrebbe un senso, anche in base alle diverse situazioni epidemiologiche, che ognuna abbia più margine su scelte specifiche». Insomma, il governatore – semmai volesse aprire la contesa con Roma – avrebbe «un set di argomentazioni scientifiche per motivare eventuali scelte diverse per la Sicilia».
Il tutto con una saggia premessa subito messa sul tavolo dal professore: «Chiaramente, con le parziali riaperture, da qui al 4 maggio abbiamo un banco di prova importante per capire se il ripopolamento delle città avrà un effetto negativo sul trend dei contagi. E a quel punto ogni discussione sarebbe superflua…».
Altra premessa da dietro le quinte: Pomara, dai colleghi che compongono il Cts, è considerato fra i “falchi”, ovvero gli esperti dal primo momento più favorevoli alla linea dura poi tenuta da Palazzo d’Orléans. Tant’è che, sull’ipotesi di rientro di residenti che si trovano fuori regione, il docente consiglia al governatore di «mantenere le regole d’ingresso delle ordinanze, come l’obbligo di quarantena e di registrazione degli ingressi».
Ma, se Pomara è un alfiere della linea dura, la circostanza rafforza le critiche motivate che muove ai contenuti del Dpcm di Conte. A partire dal tema delle mascherine. Fra le regole nazionali c’è una deroga particolare: «Possono essere utilizzate» mascherine, «anche auto-prodotte», in «materiali multistrato idonei a fornire una adeguata barriera e, al contempo, che garantiscano comfort e respirabilità, forma e aderenza adeguate».
E su questo punto Pomara si accalora: «Piuttosto che caratteristiche simili a un depliant di moda, mi sarei aspettato che, parlando dello strumento fondamentale per la vita dei cittadini italiani nei prossimi mesi, ci fosse qualche elemento scientifico in più. Che significa “materiali idonei”? Chi certifica che lo sono? Da noi la Regione, grazie all’Università di Catania, autorizzata da ministero e Iss, s’è dotata di uno strumento tecnico per certificare i dispositivi. In Sicilia non basterebbe, per intenderci, che “garantiscano comfort”…».
Sull’idea di Musumeci di rendere le mascherine obbligatorie anche nei luoghi pubblici all’esterno, il docente di Medicina del lavoro è tiepido: «Oggi il rischio, all’aperto, è diminuito». Ma questo, «per analogia» è il punto di partenza per contestare al governo nazionale alcune «contraddizioni evidenti». La prima: «Se si concede l’accesso ai parchi e ai giardini pubblici e si consente l’attività motoria e sportiva all’esterno, tutto con le necessarie precauzioni, perché si vieta l’ingresso nei cimiteri? I cimiteri sono luoghi a bassissimo rischio per definizione e si prestano molto facilmente a una pianificazione di accessi che supera ogni problema».
A proposito di luoghi legati all’intimità dei cittadini: come la mettiamo col divieto alle messe, per il quale anche i vescovi siciliani borbottano? Anche questa, per Pomara, è «una contraddizione». Perché «se si autorizza l’ingresso nei luoghi di culto, non capisco perché si vietino le celebrazioni religiose, i cui rischi possono essere quasi azzerati da alcune misure come lo svolgimento all’aperto. L’ostia? Si può dare in modo “spirituale”, come nelle messe in tv».
Barba e capelli: come la mettiamo? «Sì a taglio per gli uomini e piega per le donne, in un contesto “Covid free” certificato dalle Asp, ma ancora no a mani, seppur coperte da guanti, e lamette in faccia ai clienti. Ci arriveremo a tappe».
Un ragionamento che, per estensione, vale anche in altri settori. «Non è detto che aprire bar e ristoranti solo per l’asporto produca meno rischi di assembramenti rispetto a locali, magari all’aperto, che in pochi tavoli, continuamente sanificati, offra lo stesso servizio». La stessa perplessità che alimenta il divieto di andare nelle seconde case di vacanza: «Cambia il tetto, ma sotto vivono le stesse persone con le medesime abitudini. Il rischio è identico».
E. su questa scia, il “saggio” lancia una raffinata provocazione: «Per me anche gli spettacoli classici al Teatro greco di Siracusa si potrebbero svolgere, con alcune regole. Come dare i posti ai componenti della famiglia Pomara, che già convive ogni giorno, a distanza di un metro, a sua volta distanziata di 3-4 metri dagli altri spettatori. Poi, magari, bisogna essere bravi a evitare tragedie che prevedano il coro. E se, alla fine, muore la vittima, l’attore in scena sarà lungimirante a piangergli a debita distanza…».
Twitter: @MarioBarresi