Un’unica dose di vaccino anti-Covid per i soggetti che hanno contratto l’infezione da SarsCoV2 entro 6-12 mesi dalla guarigione. L’estensione dei tempi, annunciata dal sottosegretario alla Salute Andrea Costa, diventa ufficiale con la circolare del ministero che, approvata in serata e firmata dal direttore della Prevenzione Gianni Rezza, aggiorna la tempistica vaccinale per i soggetti guariti.
«E' possibile considerare la somministrazione di un’unica dose di vaccino anti-SARSCoV-2/COVID-19 nei soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2, purché la vaccinazione venga eseguita preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa e comunque non oltre 12 mesi dalla guarigione», si legge nella circolare ' 'Aggiornamento indicazioni sulla Vaccinazione dei soggetti che hanno avuto un’infezione da SARS-CoV-2', indirizzata ad enti e Regioni. L’indicazione, si precisa, vale sia per chi ha avuto una malattia sintomatica sia asintomatica. Il provvedimento chiarisce tuttavia un’eccezione: per i soggetti con condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici, in caso di pregressa infezione da SARS-CoV-2, "resta valida la raccomandazione di proseguire con la schedula vaccinale completa prevista».
Per questi soggetti fragili, dunque, resta l’indicazione di effettuare la somministrazione di due dosi nonostante la pregressa infezione. Altra indicazione contenuta nel nuovo provvedimento riguarda l’utilizzo dei test anticorpali, che non vanno effettuati prima di vaccinarsi per decidere se immunizzarsi o meno. «Come da indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – ribadisce infatti il ministero – l’esecuzione di test sierologici, volti a individuare la risposta anticorpale nei confronti del virus, non è raccomandata ai fini del processo decisionale vaccinale».
Una scelta, quella di prolungare i tempi vaccinali per i guariti, che, secondo Carlo Signorelli, professore ordinario di Igiene presso l’Università San Raffaele di Milano, «dal punto di vista scientifico ha senso». Fino ad oggi, infatti, molti erano i dubbi nella popolazione. «Abbiamo avuto un forte aumento delle segnalazioni su questo tema», spiega Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva. «Molti credono che i guariti non possono avere la Certificazione verde e molti altri non la stanno ricevendo per problemi di comunicazione tra il sistema informatico del medico di base e quello regionale e tra il sistema regionale e quello nazionale». Uno dei problemi, chiarisce il sottosegretario Costa, è che «molti cittadini che hanno contratto Covid-19 e che facevano una dose di vaccino, avevano poi difficoltà ad ottenere il Green pass, perchè in alcune regioni la dose era somministrata magari dopo i sei mesi previsti. Quindi, la piattaforma del sistema non riconosceva l'unica dose come ciclo completo ma classificava in automatico quella vaccinazione come incompleta. Questo è un problema che ha riguardato già qualche migliaia di cittadini e ora lo abbiamo risolto».
Dal fronte degli ospedali arriva inoltre una forte preoccupazione: i sanitari sono stati tra i primi ad essere sottoposti al vaccino e proprio a loro scadrà quanto prima la copertura, dunque saranno i più esposti al rischio contagi. «In effetti siamo davanti a un problema di carattere burocratico e a una questione di natura strettamente sanitaria – spiega Antonio Cascio, direttore dell’unità di malattie infettive del Policlinico di Palermo -. Perché il green pass ha una scadenza precisa e quindi se scade viene in qualche modo impedita la libertà di movimento delle persone. Inoltre – conclude – si pone il problema della possibilità che gli operatori sanitari, certamente molto più esposti a rischi di contagio, possano in qualche modo infettarsi quando la copertura vaccinale sarà più debole».