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Covid, test rapidi dai medici di famiglia? Accordo in salita

Di Redazione |

ROMA – Medici di famiglia e pediatri di libera scelta hanno dato la massima disponibilità per fare i test rapidi ma, nell’accordo che la Conferenza Stato-Regioni vuole chiudere il più velocemente possibile, i punti critici non sono pochi e il rischio è che l’Atto di indirizzo non venga modificato come hanno chiesto con forza i sindacati dei camici bianchi. I nodi sono stati discussi oggi al Tavolo a cui hanno preso parte le Regioni, la Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg), il Sindacato nazionale autonomo dei medici Italiani (Snami), Intesa sindacale e Sindacato medici italiani (Smi). Il primo riguarda la volontarietà da parte dei medici di base: se infatti le indicazioni previste nell’Atto di indirizzo restassero così come sono, diventerebbe obbligatorio fare i test rapidi per tutti i medici di famiglia e i pediatri di libera scelta senza possibilità di scegliere. Le nuove disposizioni entrerebbero cioè nell’Accordo collettivo nazionale stralcio (il contratto di lavoro dei medici convenzionati) scavalcando l’adesione volontaria.

«Abbiamo già un carico di lavoro non da poco – dice il segretario nazionale dello Smi Pina Onotri – la volontarietà sarebbe importante e le adesioni ci sarebbero di sicuro». «Anche perchè rischiamo che tutti i pazienti affetti da altre patologie e i cronici non potendo utilizzare gli ambulatori presso asl e ospedali a causa dell’epidemia confluiscano dai medici di base – aggiunge – e per questo abbiamo chiesto alla Conferenza di rinforzare gli uffici di sanità e igiene pubblica su tutto il territorio nazionale, l’istituzione delle Usca (le unità che dovrebbero fare i tamponi e gli accertamenti domiciliari) nelle regioni dove non sono mai partite, come nel Lazio, e la messa in campo di medici giovani visto che l’età media attuale è di 60 anni».

Altro punto dolente sono le sedi dove fare i tamponi rapidi, che – sottolinea Fp Cgil – «non possono essere certo i singoli studi medici visto che non hanno le caratteristiche opportune per far restare separati gli assistiti non-Covid dai sospetti contagiati». Su questo punto sembra esserci un’apertura poichè potrebbero essere messi a disposizione locali delle asl. L’attività però dovrebbe essere organizzata al di fuori dell’orario di ricevimento e degli appuntamenti per il vaccino antinfluenzale, con un notevole aggravio orario. «Per il momento – riferisce Onotri – l’unica cosa che abbiamo ottenuto è la rassicurazione da parte del ministero della Salute sulla dotazione di dispositivi di sicurezza che ci dovrebbero essere consegnati a breve”. Infine resta aperta la questione della strumentazione per la diagnostica che le Regioni – in seguito ad una spesa di 258 milioni di euro – consegneranno ai medici di base. Nel corso del Tavolo è stato chiesto che l’Atto di indirizzo venga modificato, poichè «questo tipo di diagnostica entri in un sistema e non ne resti fuori», ossia, che gli strumenti non vengano semplicemente affidati a i medici di famiglia, isolandoli, bensì mettendoli in relazione con gli specialisti all’interno di una rete. Ma su questo versante i sindacati non hanno registrato risposte positive. Non solo: la formazione e la manutenzione delle apparecchiature dovrebbe restare a carico loro. Medici di base e pediatri ne sapranno di più domani, sono stati infatti convocati dalla Sisac (Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati) dove prenderanno visione del testo di accordo. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA