ROMA – Nessuna illegittimità nell’ordinanza con la quale il 4 novembre scorso il Ministro della Salute, in tema di contenimento e gestione dell’emergenza da Covid-19, ha classificato la Regione Siciliana in “fascia arancione”, con conseguente sospensione delle attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie). L’ha deciso il Tar del Lazio con una sentenza con la quale ha respinto un ricorso proposto dalla Federazione Regionale del Commercio, del Turismo, dei Servizi, delle Professioni e delle Pmi di Sicilia/Confcommercio Im, e dalle società Zero 16, Sicilia Squisita e Sandiego.
Due i motivi di censura sollevati: da una parte la contestazione della classificazione compiuta; dall’altra l’esistenza di una disparità di trattamento rispetto ad altre Regioni. Quanto alla prima censura, per i giudici «si rivela congrua la scelta dell’amministrazione di classificare come ‘arancionè la Sicilia dal momento che l’RT, nel periodo considerato, si è significativamente e prevalentemente attestato su un valore di 1,38».
Riguardo poi al tema della disparità di trattamento tra Regioni, per il Tar «eventuali errori commessi in fase valutativa con riguardo ad altre realtà territoriali non potrebbero giammai giustificare, proprio perché sono in giuoco taluni valori fondamentali come la salute della collettività nazionale, un trascinamento verso il basso di certi livelli di tutela».
In conclusione, i giudici hanno voluto anche lanciare un messaggio preciso: «Cittadini ed operatori economici di talune realtà territoriali, ove la valutazione del rischio si è rivelata corretta dovrebbero piuttosto guardarsi bene dall’aspirare a vedersi applicate misure limitative meno stringenti soltanto per poter godere, nell’immediato, di maggiori spazi di libertà oppure di maggiori occasioni di guadagno. Una tale prospettiva si rivelerebbe scarsamente lungimirante se non proprio drammaticamente miope ove soltanto si consideri che allentare simili limitazioni – e qui interviene la triste esperienza degli ultimi mesi – potrebbe concretamente significare non soltanto un maggior rischio per la salute (data la più ampia esposizione ai contagi) ma anche, ‘a cascatà, un ben più rilevante danno per l’economia stessa, atteso che un drastico peggioramento della situazione epidemiologica potrebbe infine determinare l’adozione di interventi ancor più rigorosi di quelli in essere (mediante il transito da ‘zona arancionè a ‘zona rossà)».