BERGAMO – Verificare se l’Italia e la Lombardia, la regione più colpita dalla prima ondata di Coronavirus, non solo fossero dotate di un piano pandemico aggiornato, ma anche se quello esistente, datato 2017 e che si ipotizza fosse un copia-incolla del precedente del 2006, sia stato attuato mettendo in campo le misure previste e sia servito per contrastare il rischio pandemia lanciato il 5 gennaio dell’anno scorso dall’Oms.
Per questo la Guardia di Finanza di Bergamo ha effettuato, su delega del procuratore aggiunto Maria Cristina Rota e dei pm Guido Schininà, Silvia Marchina, Fabrizio Gaverini e Paolo Mandurino, acquisizioni di documenti cartacei e informatici negli uffici del Ministero della Salute, tra cui la direzione generale della Prevenzione e l’ufficio di Gabinetto, dell’Istituto Superiore di Sanità e nelle sedi dell’assessorato al Welfare lombardo, delle Ast di Bergamo e Milano e della Asst di Bergamo Est. Le Fiamme Gialle, per tutto il giorno, hanno raccolto carte per far luce su quello che è il capitolo chiave dell’indagine per epidemia colposa con al centro la gestione del Covid nella Bergamasca, che riguarda non solo la mancata istituzione di una zona rossa, ma anche il caso dell’ospedale di Alzano Lombardo e dei tantissimi anziani morti nelle Rsa.
Le indagini da qualche mese si stanno concentrando sul piano pandemico nazionale, ritenuto non aggiornato, e a cascata su quello regionale per capire se, proprio dal 5 gennaio 2020, erano state adottate le misure, quanto meno quelle richieste dall’Oms, dai responsabili della prevenzione e da coloro che avevano il compito di valutare i rischi: per esempio si vuol capire se erano stati attivati i canali per gli approvvigionamenti di dispositivi di protezione, se c’erano scorte di farmaci anti virali e, trapela da ambienti giudiziari, se e quando siano state date le indicazioni ad esempio per i triage agli ingressi dei pronto soccorso o se sia stata effettuata la formazione del «personale medico-sanitario venuto a contatto – si legge nell’ordine di esibizione – con i positivi o presunti tali».
Insomma, l’intenzione è appurare se siano state applicate le regole pur risalenti, come si crede, al 2006 e se siano servite. Tanto che gli inquirenti hanno anche esteso a questo ultimo punto la maxi consulenza affidata al virologo Andrea Crisanti.
La Gdf ha raccolto parecchio materiale: dai verbali delle riunioni dei tecnici, alle e-mail, ai messaggi via telefono che i vari esperti si sono scambiati fino alle agende con gli appuntamenti per discutere delle misura da adottare. Per far luce sul tema, inoltre, per il 19 e 20 gennaio i pm hanno convocato come persone informate sui fatti 4/5 tecnici del ministero guidato da Roberto Speranza, tra cui Giuseppe Ruocco, dg della Prevenzione Sanitaria del Ministero, il suo predecessore Claudio D’Amario (oggi la Finanza è andata nel suo ufficio in assessorato a Pescara) e Francesco Maraglino, responsabile dell’Ufficio 5 «prevenzione delle malattie trasmissibili e profilassi internazionale» sempre del ministero.
Questo capitolo d’inchiesta, una volta chiarito il quadro, dovrebbe essere trasmesso a Roma. Sulla tranche che riguarda la chiusura e la riapertura dopo poche ore dell’ospedale di Alzano sono già indagati per epidemia colposa l’ex dg del Welfare lombardo Luigi Cajazzo, l’allora suo vice Marco Salmoiraghi, la dirigente Aida Andreassi, oltre a Francesco Locati e Roberto Cosentina, il primo dg e il secondo ormai ex direttore sanitario dell’Asst Bergamo Est, questi ultimi due anche per falso.