Covid, aumentano i casi di variante Delta. L’infettivologo: «Ma chi è vaccinato con due dosi è immune»

Di Giuseppe Bonaccorsi / 17 Giugno 2021

Variante Delta. O meglio una variante frutto di un mix tra varante inglese e quella indiana. Gli esperti dicono che è  più contagiosa e più aggressiva. Ieri è stata trovata anche in alcuni immigrati del Bangladesh sbarcati a Lampedusa, oggi la Fondazione Gimbe dice nel suo report settimanale che sta aumentando la diffusione. Ne abbiamo parlato col prof Bruno Cacopardo, virologo primario del reparto di Malattie infettive del Garibaldi Nesima di Catania.

Professore dobbiamo preoccuparci per questa ennesima variante che lentamente  si sta materializzando anche nel nostro Paese?

«Il rischio non è correlato alla vaccinazione in sé. Si tratta di un ceppo virale nato dalla commistione di varianti che mescolano insieme la inglese  e la indiana e che ha creato un virus che senz’altro ha una maggiore contagiosità di circa cinque volte rispetto a quella della variante inglese che a sua volta era già più contagiosa del ceppo cosiddetto europeo che ha causato la prevalenza dei casi in Italia. Purtroppo, oltre ad essere più infettivo, il Delta è anche più patogenico, determina una malattia con una maggiore patogenicità e con una maggiore probabilità nel coinvolgimento dei polmoni e una serietà clinica più severa. Quindi si tratta di un ceppo da prendere nella più seria considerazione».

Si è parlato  del decesso per la Delta di pazienti già vaccinati . Ma allora tutti coloro che sono già immuni devono temere di ripiombare nel Covid?

«Si sta diffondendo la notizia che questo nuovo virus  sia in grado di sfuggire agli anticorpi. Non è vero ma dobbiamo fare una precisazione. Delta non riesce a superare il vaccino se la vaccinazione è stata fatta correttamente».

In che senso?

«Cioè se sono state effettuate correttamente tutte e due le dosi previste. Perché una sola non dà una immunità sufficiente  a contrastare la virulenza di questo ceppo. Si tratta infatti di una variante che necessita  di una forte, importante e potente copertura immunologica».

Quindi chi ha fatto  anche la seconda dose può stare tranquillo?

«Dopo 7,8 giorni dalla seconda inoculazione  ad esempio con  Pfizer, si ha l’immunità del 90% e la copertura è massima anche contro la Delta in caso di patologie severa, mentre è bene ribadire cne anche i vaccinati sono  sono sempre in grado di infettarsi, ma senza sintomi evidenti. Quello ce sta accadendo in Inghilterra è l’azzardo della vaccinazione britannica che ha deciso di affidarsi principalmente alla quantità piuttosto che alla qualità della vaccinazione e  ha vaccinato il maggior numero possibile di inglesi solo con la prima dose e adesso sta correndo ai ripari».

Ma chi ha fatto solo la prima dose, con la Delta può andare incontro a una malattia severa?

«Va incontro al rischio di una malattia che non è  severa rispetto a chi ancora non è vaccinato e di solito non dovrebbe portare in ospedale il paziente che, però,   si ammala e si fa il Covid con i sintomi».

Quindi quello che lei ha sempre ribadito e cioè che bisogna fare in fretta con le vaccinazioni davanti alla Delta diventa un imperativo categorico?

«Questo scenario sta a significare che c’è necessità di portare a termine la campagna con le due dosi che finora ha tenuto gli  immunizzati   lontani da  tutte le varianti in circolazione».

Lei, però, sa meglio di noi che in Sicilia ci sono decine di migliaia di over 70 e 80 – i soggetti più a rischio – ce ancora non sono vaccinati…

«E questo è un problema serissimo. Gli anelli deboli di questa pandemia sono di due tipi: anelli decisionali, che vedono una serie di errori commessi da chi doveva decidere la campagna vaccinale e quelli relativi alla mancata copertura di queste fasce di età e dal mancato pieno  funzionamento della medicina territoriale. Nel primo caso, se dovessi essere ancora più preciso, direi che l’idea iniziale d'indirizzare  i medici di famiglia a curare il Covid con la tachipirina ha provocato una marea di patologie gravi. Molti pazienti dovevano essere curati inizialmente con un antinfiammatorio ad azione antiflogistica. Probabilmente con maggiore oculatezza si sarebbero potuti evitare moltissimi casi gravi. Secondo: il territorio ha mostrato delle debolezze, dovute a una scarsa attenzione della sanità italiana  alla medicina territoriale. Io credo in un maggiore ruolo del medico di medicina generale che deve avere un  rapporto diverso col ssn, un rapporto sopratutto di dipendenza perché il camice di medicina generale ha un ruolo fondamentale nelle pandemie per il suo rapporto tra la popolazione e la sanità ultraspecialistica. E si tratta di un ruolo imprescindibile che non può essere condotto su base volontaristica. Quanto alla vaccinazione  non ci sono stati solo errori nelle decisioni, ma errori clamorosi ed esempi di ignoranza da parte della popolazione la quale ha deciso deliberatamente, in mancanza di un obbligo vaccinale, di non vaccinarsi per timori immotivati. Capisco il discorso di Az, ma quando ti propongono un vaccino diverso è da incoscienti tirarsi indietro e alcune colpe di questa mancata vaccinazione degli anziani sono  da addebitare ai cargiver che  hanno visto con superficialità la necessità di far vaccinare i propri  cari anziani».

La Sicilia è fanalino di coda in materia di vaccinazioni degli anziani. Cosa accadrà con l’arrivo della Delta?

«In estate probabilmente  niente, ma col presentarsi  dell’autunno credo che questo scenario potrebbe essere determinante per facilitare  una terza ondata che  coinvolgerà selettivamente quella fascia di popolazione anziana o fragile che non si è vaccinata o per volontà o per colpa dei cargivers.

Cosa si può ancora fare?

«Ancora una volta ci ricolleghiamo al ruolo dei medici di famiglia che hanno il dovere anche morale di andare a identificare chi non si è vaccinato e segnalarlo all’Asp. Bisogna assolutamente intervenire ora per evitare una sgradevole terza ondata che essendo mirata potrebbe essere gravata da tassi di mortalità piuttosto alti».

 

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Pubblicato da:
Alfredo Zermo
Tag: bruno cacopardo emergenza coronavirus infettivologo intervista variante delta