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Coronavirus, lockdown in Sicilia ha bruciato in un mese 2,1 miliardi

Di Redazione |

ROMA Il lockdown costa 47 miliardi al mese, 37 al Centro-Nord, 10 al Sud. Considerando una ripresa delle attività nella seconda parte dell’anno, il Pil nel 2020 si ridurrebbe del -8,4% per l’Italia, del -8,5% al Centro-Nord e del -7,9% nel Mezzogiorno.

In Sicilia il lockdown per contenere i contagi da Covid-19 ha “bruciato” in un mese 2,1 miliardi di euro di valore aggiunto, quasi mezzo milione i lavoratori rimasti a casa, mentre i 600 euro del “Cura Italia” hanno coperto il 34,5% dei 1.740 euro persi da ogni autonomo e partita Iva. 

E’ quanto emerge dal report Svimez sull’impatto economico e sociale del Coronavirus, secondo cui l’emergenza sanitaria colpisce più il Nord, ma gli impatti sociali ed economici “uniscono” il Paese; il Sud rischia di accusare una maggiore debolezza rispetto al Centro-Nord nella fase della ripresa, perchè sconta inevitabilmente la precedente lunga crisi, prima recessiva, poi di sostanziale stagnazione, dalla quale non è mai riuscito a uscire del tutto. Inoltre, per Svimez, occorre completare il pacchetto di interventi per compensare gli effetti della crisi sui soggetti più deboli, lavoratori non tutelati, famiglie a rischio povertà e microimprese. 

A livello territoriale, sono più interessate le regioni del Nord soprattutto in termini di valore aggiunto (49,1%, circa 6 punti percentuali in più rispetto al Centro e al Mezzogiorno). In termini di occupati interessati la forbice si annulla tra Nord e Sud: 53,3% nel Nord, 51,1% al Centro e 53,2% nel Mezzogiorno. In termini di unità locali, le differenze territoriali si ribaltano, segno di una maggiore parcellizzazione del tessuto produttivo nel Mezzogiorno dove le unità locali interessate dal lockdown raggiungono il 59,2% a fronte del 56,7 e del 57,2% rispettivamente nel Centro e nel Nord.

La Svimez stima che un mese di lockdown “costa” 47 miliardi di euro (il 3,1% del Pil italiano), 37 dei quali “persi” al Nord, 10 nel Mezzogiorno. Si tratta di 788 euro pro capite al mese nella media italiana, 951 euro al Centro-Nord contro i 473 al Sud. Se si analizza l’intero sistema economico, tenendo conto anche del sommerso, sono interessati dal lockdown il 34,3% degli occupati dipendenti e il 41,5% degli indipendenti. Al Nord l’impatto sull’occupazione dipendente risulta più intenso che nel Mezzogiorno (36,7% contro il 31,4%) per l’effetto della concentrazione territoriale di aziende di maggiore dimensione e solidità. La struttura più fragile e parcellizzata dell’occupazione meridionale si è tradotta in un lockdown a maggiore impatto sugli occupati indipendenti (42,7% rispetto al 41,3% del Centro e del Nord). Sono “fermi” circa 2,5 milioni di lavoratori indipendenti interessati: oltre 1,2 milioni al Nord, oltre 500 mila al Centro, quasi 800 mila nel Mezzogiorno. Si tratta in larga parte di autonomi e partite iva: oltre 2,1 milioni, di cui 1 milione al Nord, oltre 400 mila al Centro e quasi 700 mila nel Mezzogiorno. Le perdite di fatturato e reddito lordo operativo di autonomi e partite iva sono piuttosto uniformi a livello territoriale. La perdita complessiva di fatturato è di oltre 25,2 miliardi in Italia, così distribuiti territorialmente: 12,6 al Nord, 5,2 al Centro e 7,7 nel Mezzogiorno.

La compensazione statale di 600 euro prevista dal “Cura Italia” per i lavoratori autonomi copre “solo” il 30% della perdita di reddito lordo mensile di 2 mila euro in media nazionale stimata dalla SVIMEZ. La SVIMEZ stima un calo del Pil del -8,4% per l’Italia, del -8,5% al Centro-Nord e del – 7,9% nel Mezzogiorno. Si tratta di una previsione che considera il solo impatto del “cura Italia”. Ulteriori interventi espansivi potrebbero attenuare la dinamica recessiva. Il profilo trimestrale 2020 evidenzia un impatto più rilevante nel primo semestre nelle regioni del Centro-Nord epicentro della crisi sanitaria. Il rimbalzo positivo, invece, che ci si attende con il venir meno del lockdown appare più intenso nelle regioni del Centro- Nord. Il Mezzogiorno incontra lo shock in una fase già tendenzialmente recessiva, prima ancora di aver recuperato i livelli pre-crisi, ancora inferiore di 15 punti percentuali rispetto al 2007 (il Centro-Nord di circa 7).

La maggiore fragilità e precarietà del mercato del lavoro meridionale rende più difficile assicurare una tutela a tutti i lavoratori, precari, temporanei, intermittenti o in nero, con impatti rilevanti sulla tenuta sociale dell’area. Il decreto cura Italia ha esteso gli ammortizzatori sociali da una platea di circa 10 milioni di dipendenti privati a 14,7 milioni. Rimangono privi di tutela circa 1,8 lavoratori privati dipendenti, di cui 800 mila lavoratori domestici (200 mila al Sud e 600 mila nel Centro-Nord) e circa 1 milione di lavoratori a termine, che pur avendo lavorato in passato non erano occupati il 23 febbraio (350 mila al Sud e 650 mila nel Nord). Si tratta di una platea cui occorre dare risposta con uno strumento universale di tutela dalla disoccupazione, ma che non debbono rientrare nell’area assistenziale del Reddito di Cittadinanza. Infine, va considerato che, oltre a circa due milioni di lavoratori irregolari (1,2 milioni al Nord e 800 mila nel Mezzogiorno) è possibile stimare circa 800 mila disoccupati in cerca di prima occupazione che per effetto della crisi presumibilmente non potranno accedere al mercato del lavoro nei prossimi mesi, concentrati prevalentemente nel Sud (500 mila a fronte di 300 mila nel Centro-Nord). 

Una distribuzione territoriale simile si osserva per le perdite di reddito operativo: circa 4,2 miliardi in Italia, di cui 2,1 al Nord, quasi 900 milioni circa al Centro e 1,2 milioni nel Mezzogiorno. La perdita di fatturato per mese di inattività ammonta a 12 mila euro per autonomo o partita iva, con una perdita di reddito lordo di circa 2 mila euro, 1900 e 1800 per mese di lockdown rispettivamente nelle tre macroaree. La distribuzione territoriale, al netto dei consumi collettivi (nei quali è ricompresa la spesa sanitaria), prevede una distribuzione, rispetto alla popolazione residente nelle due ripartizioni, più favorevole al Centro-Nord, come è logico data la diversa intensità assunta dall’epidemia nelle diverse aree. Il “cura Italia” sviluppa un intervento essenzialmente di maggior spesa corrente pari a 1,2 punti di Pil, meno della metà della stima SVIMEZ dell’impatto di un mese di lockdown in termini di perdita di Pil. Il provvedimento esplica maggiori effetti al Sud in rapporto al Pil (1,4% contro l’1,2% nel Centro-Nord), mentre in termini pro capite si concentra maggiormente al Centro-Nord (372 euro pro capite contro i 251 nel Mezzogiorno).

La maggiore fragilità e precarietà del mercato del lavoro meridionale rende più difficile assicurare una tutela a tutti i lavoratori, precari, temporanei, intermittenti o in nero, con impatti rilevanti sulla tenuta sociale dell’area. Il decreto cura Italia ha esteso gli ammortizzatori sociali da una platea di circa 10 milioni di dipendenti privati a 14,7 milioni. Rimangono privi di tutela circa 1,8 lavoratori privati dipendenti, di cui 800 mila lavoratori domestici (200 mila al Sud e 600 mila nel Centro-Nord) e circa 1 milione di lavoratori a termine, che pur avendo lavorato in passato non erano occupati il 23 febbraio (350 mila al Sud e 650 mila nel Nord). Si tratta di una platea cui occorre dare risposta con uno strumento universale di tutela dalla disoccupazione, ma che non debbono rientrare nell’area assistenziale del Reddito di Cittadinanza. Infine, va considerato che, oltre a circa due milioni di lavoratori irregolari (1,2 milioni al Nord e 800 mila nel Mezzogiorno) è possibile stimare circa 800 mila disoccupati in cerca di prima occupazione che per effetto della crisi presumibilmente non potranno accedere al mercato del lavoro nei prossimi mesi, concentrati prevalentemente nel Sud (500 mila a fronte di 300 mila nel Centro-Nord).COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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