Catania – «E’ questione di giorni. Già entro questa settimana avvieremo lo screening delle immunoglobuline IgG e IgM per individuare i soggetti che hanno gli anticorpi Covid». Lo ha detto il professore Bruno Cacopardo, esperto infettivologo a capo del team del Garibaldi Nesima, ma in questo caso nella veste di esperto del comitato scientifico regionale per la lotta al coronavirus voluto dal governatore Nello Musumeci. «Il test sierogogico ha come vantaggio la rapidità di esecuzione e la sicurezza perché il virus non si trasmette per via ematica mentre il tampone presenta sempre qualche rischio per chi lo effettua. Inoltre ci sono in circolazione molti test valevoli, alcuni anche di produzione italiana, che hanno avuto la certificazione sanitaria e quindi sono di buona attendibilità».
Professore qual è l’utilità di questi test?
«Nella nostra esperienza questo test ha meriti e demeriti. Il demerito è che non è attendibile nel 7-8% di soggetti che già sono positivi al virus. Insomma dà un risultato negativo, come se il malato in realtà non abbia la malattia. Esistono, quindi, delle false negatività che devono essere attenzionate. C’è inoltre da dire che il test delle immunoglobuline non identifica la malattia ma scova gli anticorpi, perché è solo il tampone che può appurare se uno ha o no la malattia attraverso il rna del virus».
Ma allora è utile o no effettuare questo screening sulla popolazione?
«Eseguiremo la ricerca piuttosto che sui pazienti, anche i sintomatici, su determinate categorie, al preciso scopo di avere un risultato epidemiologico. Scrinando la popolazione verificheremo quanti sono venuti a contatto col virus».
Ma allora procederete per categorie e ci saranno solo alcuni laboratori deputati?
«Siamo ancora in fase di organizzazione. Ci saranno dei centri individuati. Senz’altro il Garibaldi sarà tra questi laboratori perché siamo già attrezzati per questo genere di analisi e presto saremmo attrezzati anche numericamente per fare test su larga scala. Uno screening del genere funziona sui grandi numeri. Certo non lo effettueremo su tutta la popolazione, ma si procederà per settori, attraverso screening estensivi. Secondo me alcune categorie che dovremmo coinvolgere sono quelle che operano “sul campo”, a partire dai medici e gli infermieri, le forze dell’ordine e tutte quelle che continuano a lavorare in questo periodo di chiusura. Considero che uno screening del genere sarebbe molto utile anche sulla popolazione carceraria e in particolare sugli ospiti e gli operatori delle case di riposo e delle rsa.
Sarebbe utile farlo anche per rimettere al lavoro coloro che hanno gli anticorpi?
«No, non direi…».
E’ un mantra, ma lei vede una decrescita della curva o no?
«Se scorporiamo dai dati nazionali i numeri della Lombardia, la regione maggiormente colpita, in effetti è evidente una decrescita. Per quanto riguarda la nostra isola bisognerà, però, capire se questa decrescita sarà lenta oppure veloce sino ad arrivare a zero contagi. Dipenderà tutto dal funzionamento e dal rispetto del lockdown e dal contenimento dei focolai che possono esplodere, ad esempio, nelle residenze per anziani. E lo screening sarebbe molto utile per individuare i soggetti a rischio da isolare in tempo attraverso la scoperta delle immunoglobuline e poi procedere a una certificazione del dato attraverso il tampone».
Catania è la provincia in cui il contagio cresce di più. Anche qui lei vede un cambiamento?
«Sì. Ad esempio al pronto soccorso del Garibaldi riscontriamo meno casi di accesso al pronto soccorso e c’è una minore presenza di sospetti. E’ un buon indicatore perché in passato avevamo una pressione formidabile al ps. Oggi è diminuita la percentuale di positivi sui soggetti con sintomi. Prima i casi sospetti erano quasi tutti positivi, adesso no. L’impressione è che l’isolamento sta producendo i suoi frutti».