LONDRA – Qualche centinaia di sterline di rimborso in cambio della disponibilità a far da cavie nei primi test umani della pozione che il mondo attende: un vaccino contro il coronavirus. E’ iniziata oggi l’avventura – vissuta come «una sfida», fra ansie e consapevolezza – dei volontari, poco più di mille uomini e donne sani, di età compresa fra 18 e 55 anni, che nelle prossime settimane sperimenteranno nel Regno Unito il prototipo messo a punto col sostegno del governo di Boris Johnson dai ricercatori dell’Istituto Jenner dell’Università di Oxford in tandem con l’azienda italiana Advent-Irbm di Pomezia: il progetto più avanzato, al momento, tra quelli allo studio nei laboratori d’Europa.
Metà di loro sarà sottoposto agli effetti del prototipo ChAdOx1 nCoV-19, finora provato soltanto su animali; l’altra metà a un vaccino anti-meningite usato in funzione di placebo. E nessuno saprà in quale dei due gruppi sia capitato. Sullo sfondo ci sono le aspettative del pianeta, ma anche le sensazioni individuali dei partecipanti: come Lydia Guthrie, che ha deciso di venire allo scoperto per raccontare l’avvicinamento a questa esperienza a Bbc Radio 4. Il team clinico che conduce la ricerca – noto per aver già elaborato a suo tempo il vaccino anti Ebola, guidato dalla professoressa Sarah Gilbert e arricchito tra l’altro dalla presenza di giovani scienziati di lingua italiana come il riminese Giacomo Gorini, già allievo di Roberto Burioni a Milano, o il ticinese Martino Bardelli – «è stato molto chiaro con noi sui potenziali rischi» collaterali dei trials, ha sottolineato la volontaria. Ma i protocolli «sono attentamente regolati», ha aggiunto fiduciosa, e prevedono «un consenso esplicito di chi partecipa» ad ogni singolo passaggio.
I responsabili «sono stati molto chiari anche sul fatto che che ciascuno di noi può ritirarsi in qualsiasi momento, laddove dovessimo cambiare idea», ha proseguito Lydia. Un epilogo che peraltro al momento lei si sente di poter escludere. «Non so se riceverò il nuovo vaccino sperimentale anti Covid-19 o quello contro la meningite che è diffuso da tempo e sarà destinato al cosiddetto gruppo di controllo», ha osservato. In fondo conta poco, ciò che conta è far parte di questa avventura per dare un contributo di speranza a milioni di persone verso la potenziale soluzione definitiva, almeno in un orizzonte di alcuni mesi-un anno, alla minaccia invisibile del coronavirus.
Un’avventura durante la quale la vita di Lydia dovrebbe restare immune da scossoni, a parte il tempo dedicato alla ricerca e qualche batticuore; per quanto nel rispetto delle restrizioni che il lockdown impone da diverse settimane pure nel Regno, dove di passare a una fase due il governo Johnson per ora non parla nemmeno. «Da quel che ho capito – ha concluso Guthrie – mi verrà chiesto di andare avanti con la mia vita normale, naturalmente nel rispetto delle linee guida sulle regole del distanziamento sociale». Sperando di poter contribuire a far diventare anche quelle solo un ricordo.