All’indomani dell’annuncio delle misure adottate dal governo per la ripartenza del paese nella cosiddetta ‘fase 2’, nel mondo del commercio è rivolta contro l’esecutivo e il premier Giuseppe Conte. Si parla di «danni gravissimi» provocati dalla decisione del governo di posticipare la riapertura della maggior parte dei negozi al 18 maggio e di bar, ristoranti e altri esercizi commerciali quali estetica e parrucchieri addirittura al primo di giugno. E c’è anche chi quantifica in diversi miliardi di euro le perdite conseguenti alle nuove misure. Con una protesta che si solleva unanime da parte di tutti i comparti, accompagnata anche dalla richiesta di aiuti per il settore e dall’appello di riaprire prima stabilendo dei protocolli di sicurezza aggiuntivi, specifici per le diverse attività.
La Fase 2 rinvia la riapertura degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e di tante attività del turismo e dei servizi, ricorda il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli secondo il quale «ogni giorno di chiusura in più produce danni gravissimi e mette a rischio imprese e lavoro». Il governo dovrà fornire indennizzi a fondo perduto «per evitare il collasso economico di migliaia di imprese e risulta «urgentissimo» un incontro con Conte. Ma al fianco del presidente di Confcommercio si muovono anche le singole categorie. La Fipe, che raggruppa bar, ristoranti pizzerie, catering, intrattenimento evidenzia la necessità di avere «subito risorse o saranno solo macerie». Il prolungamento a giugno aggiunge altri 9 miliardi di perdite ai 25 miliardi già stimati. Ma tremano anche i negozianti di abbigliamento: la Federazione Moda Italia registra un calo di oltre 15 miliardi di consumi, con una perdita occupazionale di 35 mila persone.
A ipotizzare quanto costerà il prolungamento del lockdown per il commercio è invece Confesercenti che parla di un’ulteriore batosta da 10 miliardi per le imprese del settore esprimendo la forte delusione e preoccupazione degli imprenditori. La Presidente Patrizia De Luise scrive direttamente a Conte affermando che «quasi un mese di ulteriore rinvio per le attività commerciali e addirittura di più per ristoranti, bar e servizi alla persona, vuol dire aggravare ulteriormente la situazione economica, con il rischio concreto che molte attività chiudano per sempre». Considerazione, questa, a cui si aggiunge il fatto che «mancano del tutto risposte per il comparto turistico, le cui attività sono ancora in uno stato di profonda incertezza, senza fatturato e senza prospettive per il futuro».
Tra parrucchieri ed estetiste, costretti a rimanere chiusi fino all’inizio di giugno, sono a rischio ben 49mila posti di lavoro, lancia l’allarme Confartigianato secondo cui l’effetto combinato di mancati ricavi a causa della chiusura e della concorrenza sleale degli abusivi nei mesi di marzo, aprile e maggio causerà alle imprese di acconciatura e di estetica una perdita economica di 1.078 milioni di euro, il 18,1% del fatturato annuo. Non si capacita della decisione del Governo il segretario generale dell’associazione, Cesare Fumagalli, che ricorda come le imprese del settore abbiano presentato tempestive proposte dettagliate su come tornare a svolgere le loro attività osservando scrupolosamente le indicazioni delle autorità sanitarie su distanziamento, dispositivi di protezione individuale pulizia, sanificazione. Proposte «penalizzanti ma necessarie» alle quali però, lamenta ancora, «non abbiamo ricevuto alcuna risposta».
Coldiretti punta invece il dito sulla prolungata chiusura forzata di bar, trattorie, ristoranti, pizzerie e agriturismi, che, afferma, «ha un effetto a valanga di 5 miliardi sull’agroalimentare per mancati acquisti in cibi e bevande». Un allarme cui fa eco anche quello di Filiera Italia secondo cui sono in pericolo i 320 mila locali che oggi danno lavoro a oltre 1,2 milione di persone e allo stesso tempo il 30% del fatturato dell’agroalimentare. Timore analogo anche quello di Federcuochi: “rinviare la riapertura al 1 giugno significa fa morire la ristorazione già agonizzante dopo mesi di mancati incassi». Per l’associazione, insomma, si tratta del «colpo di grazia ad un comparto che produce un indotto miliardario per tutto il Paese e che non riesce più a sostenere questo fermo».