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Coronavirus, due studi sul contagio in aereo: i voli a lungo raggio possono creare focolai

Di Redazione |

ROMA – Che i viaggi ai tempi del coronavirus siano differenti emerge chiaramente dalla scelta del mezzo di trasporto utilizzato fatta quest’estate dagli italiani per andare in vacanza: secondo il Centro Studi del Touring Club l’auto è stata la protagonista assoluta (71%, era il 44% nel 2019) mentre l’aereo ha subito un calo brusco (8% rispetto al 33% dello scorso anno).

E questo perché sebbene oggi sia possibile – secondo le regole in vigore – riempire tutti i posti degli aeromobili, c’è molta diffidenza su questo mezzzo di trasporto dove è difficile mantenere il distanziamento. D’altronde il virus nel mondo si è diffuso con lo spostamento di persone contagiate da un continente all’altro.

E ora ci sono anche due studi che indicano che i voli, specie quelli a lungo raggio, sono luoghi in cui il virus si propaga facilmente e il solo distanziamento non è sufficiente a garantire la sicurezza. 

All’inizio della pandemia, una giovane donna e sua sorella si recarono a Milano e Parigi per eventi legati alla moda, poi andarono a Londra, da dove presero un volo per Hanoi. Era il primo marzo, e la donna aveva un pò di mal di gola e tosse, ma niente febbre. All’epoca le compagnie aeree non avevano ancora preso nessuna misura per contrastare il virus, e la mascherina a bordo non era obbligatoria. Dieci ore di volo dopo, la donna aveva contagiato 15 persone che erano a bordo con lei. In un’altra vicenda presa in esame, alcuni passeggeri che viaggiavano in aereo tra Boston e Hong Kong hanno contagiato due assistenti di volo.

Un gruppo di ricercatori vietnamiti dell’Istituto nazionale di igiene ed epidemiologia di Hanoi hanno studiato il focolaio sviluppatosi sul volo Londra-Hanoi, dove viaggiava la 27enne, pubblicando lo studio sulla rivista Emerging Infectious Diseases. «La donna, indicata come Caso 1, viveva a Londra da inizio febbraio. Il 22 febbraio, insieme alla sorella, sono andate a Milano, quindi a Parigi, per poi tornare a Londra il 25», scrive Nguyen Cong Khanh, che ha svolto lo studio con altri colleghi. All’epoca l’epidemia iniziava a diffondersi in Italia, ma pochissimi casi erano stati segnalati in Gran Bretagna.

«Seduta in business class, ha continuato ad avere sintomi per tutto il viaggio», aggiunge. Andò in ospedale tre giorni dopo l’arrivo. Le autorità sanitarie individuarono i 217 passeggeri e membri dell’equipaggio che erano su quel volo: 12 persone in business class, due in economy e una persona facente parte dell’equipaggio erano stati contagiati. I ricercatori hanno concluso che il virus può averli infettati solo durante quel volo, portato a bordo dalla donna.

«Concludiamo che il rischio di trasmissione a bordo durante i voli a lungo raggio è reale e può creare focolai di dimensioni importanti, persino in aree come la business class, con maggior spazio tra i sedili. Finché il Covid-19 rappresenterà una minaccia e in assenza di test istantanei, le misure di prevenzione a bordo e prima dell’imbarco devono migliorare», afferma Khanh.

In un altro studio una coppia che volò da Boston a Hong Kong, sempre in business, contagiò due assistenti di volo: il genoma del virus trovato sui quattro era identico, afferma Deborah Watson-Jones della London School of Hygiene & Tropical Medicine, che ha pubblicato un articolo insieme ad altri colleghi sulla stessa rivista. «Il solo posto dove le persone erano vicine per un tempo prolungato era l’aeroplano». 

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