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Catania, chioschi in crisi per il covid dopo chiusura alle 18

Di Gianluca Reale |

CATANIA – Dpcm che arriva, abitudini che cambiano. E commercianti che si arrangiano. Il divieto di servire al banco dalle 18 in poi rischia di mettere ancora più in difficoltà chioschi e bar che non sono dotati di tavoli e sedie in cui fare accomodare i clienti.

«Abbiamo già registrato un calo di clientela evidente in questi ultimi giorni, probabilmente a causa del clima di paura generato dalla crescita dei contagi, adesso dalle 18 in poi serviamo solo roba da asporto, bicchieri col tappo, lattine o bottiglie in busta sigillata come già facevamo dalle 21 in poi», sottolineano Alfio e Luca Sava, titolari del chiosco di piazza Trento, uno dei più frequentati sia nelle ore diurne sia in quelle notturne, punto di ritrovo di tanti giovani che si fermano a bere un seltz o un drink al volo. Non è più così da quando è scattato l’obbligo di chiusura alle 24 e il divieto di consumo sul posto dopo le 21. «Ma non chiuderemo, vediamo come andrà dopo le 18, proviamo a restare aperti sino all’orario di chiusura», dicono in coro. D’altronde, come ricorda Alfio, «noi lavoravamo molto con il “dopo cena”, cioè dopo le 11. Adesso che tutti i ristoranti chiudono alle 24 in pratica c’è poco lavoro dopo la mezzanotte. Il calo di clienti è evidente anche nei ristoranti».

Un altro punto “caldo” del consumo al volo in città, è il chiosco storico dei Giammona, in piazza Vittorio Emanuele. «Piangiamo con un occhio, ameno non ci hanno fatto chiudere, anticipiamo alle 18 quanto già facevamo dalle 21», dice Salvatore Giammona. In ogni caso, confessa Salatore, «stiamo cercando di capire cosa fare. I clienti sono decisamente diminuiti, ma noi siamo un chiosco storico, un simbolo della città, non possiamo certo chiudere prima dell’orario». Purtroppo, «senza avere il servizio igienico, non è possibile avere il suolo pubblico per mettere tavoli e sedie – dice ancora Giammona – ma ci potrebbe essere una via d’uscita: ombrelloni e tavoli alti. Devo però avere una conferma scritta, non vogliamo rischiare niente. In ogni caso – aggiunge – non capisco il premier Conte quando dice che piscine e palestre non le chiude perché hanno speso soldi per adeguarsi alle procedure. Le attività di ristorazione invece non li hanno spesi?».

Giuseppe Cantarella, 60 anni a dicembre, è il titolare del bar Cantarella, piccolo bar/laboratorio di pasticceria in via Umberto angolo via Vecchia Ognina. «Sono qui dal 1984 – dice – e se mi fanno chiudere non riapro più. Per me non poter servire il caffè al banco dalle 18 in fondo cambia poco, il non poter servire al banco forse penalizza i grandi bar, dove la sera la gente va a fare l’aperitivo: adesso si deve per forza sedere, con posti limitati ai tavoli. Il vero problema, in generale, è che la clientela si è praticamente dimezzata da una decina di giorni, da quando i contagi hanno ripreso a salire. Qui in zona moltissimi uffici sono in smart working e la gente non viene più a fare la pausa caffè e ne risente anche l’attività di laboratorio di pasticceria, il calo di clientela è evidente. Ma ci crede – aggiunge il signor Cantarella, indicando la copia de La Sicilia che giace su uno dei due tavolini all’interno del locale – che i clienti ormai ci pensano due volte prima di sfogliare il giornale, per timore del contagio?».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA