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Anche Musumeci con la mascherina cinese: e il sogno dei Dpi siciliani rischia di svanire

Di Mario Barresi |

CATANIA – Di commesse pubbliche, finora, neppure l’ombra. Né dei pur strombazzati contributi per la riconversione produttiva di Dpi, nell’Isola più volte definita «in guerra» contro il Covid.

Eppure la Regione di speranze ne aveva date tante alle imprese, quando a marzo scorso, dall’assessorato alle Attività produttive, partì la sollecitazione ufficiale al Distretto Meccatronica per stimolare le aziende nell’aiuto alla Sicilia per approvvigionarsi di dispositivi di protezione individuale idonei, proprio mentre negli hangar degli aeroporti di Catania e Palermo venivano scaricati centinaia di scatoloni contenenti mascherine “made in Cina” con certificazioni dubbie. Dello stesso tipo di quella indossata da Nello Musumeci, immortalato in una recente foto ufficiale. E così i produttori siciliani, in un provocatorio impeto d’orgoglio, hanno fatto recapitare a Palazzo d’Orléans una scatola con un’intera fornitura di Dpi (mascherine Ffp2 e Ffp3, gel igienizzanti e altri prodotti) rigorosamente siciliani.

Ma dal governatore nessuna risposta. Così come è rimasta lettera morta una norma della legge di stabilità regionale, approvata lo scorso maggio all’Ars, che aveva persino costituito un fondo di 40 milioni di euro, come ristoro a fondo perduto per le aziende che invece di chiudere gli stabilimenti nel pieno della pandemia da Covid-19 riconvertivano gli impianti per realizzare Dpi. Fatta la legge, però il nulla. Di risorse, in quel fondo, neanche un euro. Nove mesi sono trascorsi, manca il decreto attuativo che sblocca le risorse. Si tratta di fondi dell’edilizia sanitaria, da cui, in base all’articolo 5 della legge di stabilità, il governo deve attingere i 40 milioni per la riconversione. Dove sono finiti quei soldi? È l’interrogativo che si pongono le aziende, sempre più scoraggiate e deluse. La palla è nelle mani di due assessorati regionali, l’Economia e la Sanità. Da indiscrezioni dei palazzi si apprende che uno dei due ha firmato gli atti propedeutici e l’altro no.

Intanto quel sistema di “pionieri”, che poteva diventare il fiore all’occhiello per l’Isola, rischia di diventare l’ennesima occasione mancata. Perché, dopo nove mesi di attesa, le aziende, che avevano investito anche con lo scopo di aiutare il sistema sanitario, non ci credono più. Alcune, come la Montalbano Protection di Carini, nel Palermitano, sono state costrette a interrompere i contratti con alcuni dei lavoratori assunti a maggio proprio per la produzione di mascherine, camici, calzari. «Abbiamo investito due milioni, formato il personale dando nuove speranze a disoccupati over 50, abbiamo dato la disponibilità ad abbassare i costi pur di dotare sanitari e dipendenti pubblici di Dpi certificati e sicuri. Purtroppo – ricorda Emanuele Montalbano – le istituzioni sono ferme. E la Regione continua a dotarsi di Dpi cinesi che non offrono garanzie alla salute per chi le indossa»

E così, davanti agli stabilimenti, negli ultimi giorni, c’è la fila. Tra i medici di ospedali pubblici si fanno collette per l’acquisto di dispositivi siciliani, dopo le tante inchieste che hanno dimostrato l’irregolarità di quelli cinesi distribuiti nelle scuole, negli ospedali e negli uffici pubblici. Ordini, sempre privati, arrivano dalle scuole e persino da uomini delle forze dell’ordine, vigili urbani e vigili del fuoco. Sono tante le imprese che nell’Isola avevano scommesso nella riconversione: dalla Puleo di Marsala che ha investito 300mila euro alla Hotaly dell’area industriale di Catania, 200mila euro. «Il sistema da noi è bloccato – aggiunge Antonello Mineo, presidente di Meccatronica Sicilia – mentre in Campania la Regione ha pubblicato bandi che sostengono le imprese locali che producono Dpi, così da ottenere un duplice risultato: incoraggiare il tessuto imprenditoriale e salvare centinaia di posti di lavoro in una fase di crisi profonda». Che è destinata a restare tale.

Twitter: @MarioBarresi

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