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L'indagine "Villascabrosa"
«Vorrei un caffè piccolo…», così il capo-piazza ordina le dosi alla madre-pusher
Altri dettagli del blitz dei carabinieri a San Cristoforo
«Mi fai uno squillo?». L’antico sistema della Generazione X (che ha sfiorato anche i Millennians) per avvisare di qualcosa – tipo “sono a casa” – senza che la ricarica del cellulare si consumasse è stata ripescata dall’organizzazione di spacciatori messa in ginocchio dai carabinieri della compagnia di Piazza Dante grazie all’operazione “Villascabrosa”. La chiamata senza risposta avrebbe avuto come obiettivo quello di rifornire i pusher delle dosi di marijuana nella piazza creata tra via Villascabrosa (da qui il nome del blitz) e via Officina, nel cuore di San Cristoforo, con la tecnica del lancio tra i balconi.
Chi era al comando
Ai vertici del gruppo criminale gli investigatori posizionano Emanuele Napoli e Alessandro Carambia (di cui parliamo nell’articolo sotto, ndr). Un business della droga a conduzione familiare con numeri stellari: è stato stimato un giro d’affari di 4.000 euro al giorno per 200 cessioni. Alcune effettuate in presenza di bimbi.
Il sistema criminale
La base logistica, in via Officina, è la casa della settantacinquenne Maria Greco, mamma di Napoli, che è finita ai domiciliari. L’anziana non sarebbe stata trattata con i guanti dal figlio: nelle intercettazioni non mancano “gli epiteti” poco carini con cui il capo-piazza si rivolge alla madre. In un’occasione, ad esempio, la donna avverte Napoli che stava ritardando perché era a una visita medica, ma la risposta non sarebbe stata di preoccupazione ma di sollecitazione: «E non puoi lasciare un minuto?». Mamma Maria avrebbe avvertito il figlio che al suo posto ci sarebbe stato il fratello Davide (anche lui in manette), ma Emanuele non avrebbe sentito ragioni: «No, ci vai tu, ci devi andare tu!».
La base logistica
Non è finita, perché a casa della nonnina sarebbero dovuti essere “inviati” i vari clienti. E in questo schema entra un’altra donna, questa volta la moglie di Napoli: Alessandra Sudano – finita in carcere – avrebbe ricevuto ordini direttamente dal marito. Napoli per parlare con la consorte era solito utilizzare il cellulare della madre. «Se li senti suonare, gli dici che sono qui», la esortava. Un giorno però le scorte erano terminate: quando Sudano lo chiama infatti Napoli la invita ad avvertire i clienti «di passare l’indomani». Gli altri familiari coinvolti sono Rosario Sudano, cognato di Napoli. Inoltre c’è anche il fratello dell’altro vertice: Antonio Carambia. Pur non avendo vincoli di parentela, avrebbero operato «nell’interesse dell’associazione» con il ruolo di pusher o vedetta Giovambattista Pace, Gaetano Catania, Giacomo Lentini, Domanico Damiano Stabile, Salvatore Michele Molino e Giovanni Licciardello.
Il blitz
Gli arresti di questa operazione, sono avvenuti “a rate”: cioè in momenti diversi nell’arco delle ultime settimane. Questo perché la richiesta di custodia cautelare delle pm è stata rigettata lo scorso febbraio dal gip Luigi Barone. Ma la procura ha presentato appello che è stato accolto dal Tribunale del Riesame, ma non in modo congiunto ma posizione per posizione. Così dalla Cassazione è arrivata la conferma per ogni singolo indagato. Con la decisione della Suprema Corte l’ordinanza è diventata esecutiva e quindi si è potuto procedere.
Il collegio, presieduto da Gabriella Larato, ha analizzato il compendio di numerose intercettazioni (i carabinieri sono riusciti anche a isolare chat su WhatsApp) ricostruendo linguaggi in codice e turni di spaccio. Partiamo dal dire che la piazza funzionava h24. Emanuele Napoli, in considerazione del ruolo di capo, avrebbe avuto il ruolo di “amministrare i turni” degli spacciatori, che oltre a operare su “strada” potevano anche effettuare consegne a domicilio dopo ordini sui social. Di giorno, dalle 10 alle 14, si lavorava nelle abitazioni. dal pomeriggio allea notte, dalle 14 alle 4, su “strada”. Sulle modalità criptiche dei dialoghi, il Riesame scrive che per identificare «la sostanza stupefacente» il gruppo «convenzionalmente» utilizzava termini come «caffè o cialda». Inequivocabile per gli investigatori la telefonata tra madre e figlio, nel quale quest’ultimo chiede di volere il caffè «quello piccolo». E la madre risponde: «Cominciamo con quelle!».