Catania – «Sono all’estero e leggo di essere coinvolto come ex direttore di Dipartimento nella maxi inchiesta sull’Ateneo di Catania. Immagino le palate di fango. Ma resto sereno. Non so neppure di cosa mi accusino insieme a tanti bravi colleghi. Non ho nulla da rimproverarmi. Saprò difendermi ed ho fiducia nella Giustizia». Si era espresso così, prima di fare marcia indietro e cancellare il commento social, Giuseppe “Uccio” Barone, 72 anni, uno dei dieci destinatari del provvedimento restrittivo emesso dal Gip Carlo Cannella nell’ambito dell’inchiesta che ha fatto luce su un vero e proprio verminaio all’Università di Catania.
Eppure nelle carte dell’operazione “Università Bandita” il suo nome viene fuori con grandissima frequenza e per le motivazioni più svariate: il pressing eseguito sul rettore di turno per sistemare degnamente il figlio Antonio nell’Ateneo catanese, quello successivo sui colleghi per garantire un posto da ricercatore di tipo “B” al fedelissimo allievo Angelo Granata, persino l’organizzazione di un evento fantasma per favorire gli spostamenti di due docenti provenienti rispettivamente dalle Università di Napoli e di Messina, ovvero gli indagati Giovanna Cigliano e Santi Fedele. E’ proprio su quest’ultimo punto che magistrati e Gip manifestano la loro indignazione. Anche perché il professor Barone, a suo tempo direttore del Dipartimento di Scienze politiche e sociali, non si fa scrupolo di coinvolgere nella sua “macchinazione” una seconda persona che, per la posizione occupata, non potevano mettersi di traverso davanti a quelle richieste e adesso si ritrova indagata: Alessia Facineroso, assegnista di ricerca presso lo stesso dipartimento.
Diverso il discorso per Maria Giordano (dipendente tecnico amministrativo del dipartimento) e Anna Garozzo (vice responsabile dell’Ufficio amministrativo e del personale del dipartimento), che a detta degli inquirenti avrebbero agito come elementi istigatori delle cattive condotte del Barone. La questione è semplice: il direttore del dipartimento non soltanto si muove per garantire una sistemazione al professor Granata, ma cerca di forzare sui tempi, perché vuole garantire la continuità di servizio all’allievo – dal quale, per inciso, come farà anche con l’indagato Salvatore Gruttadauria, si farà consigliare i nomi dei docenti da inserire nella commissione giudicatrice – in scadenza di contratto.
Conoscendo i tempi lunghi per il rimborso delle spese ai componenti delle commissioni esaminatrici, consigliato dalla Giordano prima e dalla Garozzo successivamente, il Barone decide di organizzare un “evento fantasma” a tutti gli effetti, invitando a spese dell’Ateneo la Cigliano e il Fedele, e dà mandato alla Facineroso di approntare una locandina «senza orario, perché così possiamo muoverci meglio». Il tema da trattare sarebbe dovuto essere “I volontari italiani in Russia durante la grande guerra”: una conferenza mai tenuta, così come accertato dalla Digos, che costerà all’Università i 460 euro del volo andata e ritorno da Napoli per la Cigliano e 300 euro di vitto poi giustificati come “catering” per il convegno. Soldi che si sarebbero potuti almeno in parte risparmiare senza la fretta determinata dalle esigenze di Barone e Granata, che poi risulterà premiato dalla commissione.
Ancora più controversa l’assegnazione di un posto da ordinario in Diritto amministrativo che vedeva in ballo Antonio Barone, figlio di “Uccio”. Il docente non riscuote la stima di tanta gente ma l’ex rettore Pignataro si era impegnato con l’amico “Uccio”, cosicché alla fine, nonostante le proteste, tutto andrà come programmato e quel posto verrà assegnato a chi vi ambiva. Ciò nonostante un momento thrilling legato all’avvicendamento poi avvenuto fra Pignataro e Basile. “Uccio” Barone non si scompone e garantisce al figlio: «Se spunta Basile non abbiamo a temere: contratteremo». Ipse dixit…