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Università, a Catania è già partita la corsa per il rettorato: i nomi in campo

Nonostante il voto d’Ateneo sia previsto nell’estate 2025, campagna elettorale al via fra telefonate, sms e caffè. Nicotra e Foti in pole position

Mario Barresi

27 Gennaio 2024, 09:13

Unviersità

Università Catania

L’orizzonte delle urne, in effetti, ha ancora dei contorni sbiaditi. Distanti. Estate 2025: giugno o al massimo nella prima metà di luglio. Di certo non come nel 2019, nel pieno di quel torrido agosto, quando l’Ateneo di Catania andò al voto dopo essere stato ghigliottinato da un’inchiesta della magistratura. “Università Bandita”, nomen omen. Eppure, nonostante manchi un anno abbondante all’inizio della futura campagna elettorale, è già tempo di toto-rettore. Telefonate (più o meno) a raffica, messaggi (più o meno) seriali in chat, primi incontri (più o meno) segreti, caffè di corteggiamento (più o meno) casuali. E già qualche colpo (più o meno) basso. Compreso quello di diffondere una voce, che si rincorre ciclicamente per poi essere smentita, di elezioni anticipate a causa delle «imminenti» dimissioni del rettore in carica, che aspirerebbe a un ruolo di prestigio al Cnr. E Francesco Priolo, al quale bisogna comunque riconoscere il merito di aver ricostruito un clima di normalità, puntualizza a ripetizione: «Svolgerò il mio mandato fino all’ultimo». Anche perché, gracchiano da Radio UniCt, l’ambito posto ai vertici del Cnr verrà rimesso in palio nella primavera del 2025. E quindi non c’è fretta.

Francesco Priolo, rettore dell'Università di Catania

Due candidati già in campo

Ma di fatto - con qualche decina di docenti contattati pronti a testimoniarlo - ci sono già due candidati apertamente in campo: Ida Nicotra ed Enrico Foti. La prima a bruciare i tempi è stata l’ordinaria di Diritto costituzionale, in tandem con il collega (e marito) Felice Giuffrè, consigliere non togato del Csm espresso da Fratelli d’Italia. Ma Nicotra, di recente nominata nel cda della società Stretto di Messina su designazione del governo regionale di Renato Schifani, pur sfruttando l’onda lunga di una candidatura “governativa”, prova a smarcarsi da questo imprinting politico. Punta sulla suggestione di genere: sarebbe la prima rettrice etnea, sulla scia della svolta di Messina che ha eletto Giovanna Spatari dopo lo scandalo rimborsi che ha travolto il suo pigmalione Salvatore Cuzzocrea. E sottolinea soprattutto il suo profilo di tecnica: già consigliera Anac con Raffaele Cantone su indicazione di Angelino Alfano, ma anche fra i saggi delle riforme costituzionali scelti da Enrico Letta, prima ancora di entrare, nominata dal ministro Roberto Calderoli, nel comitato tecnico scientifico sui Lep funzionali all’autonomia differenziata presieduto da Sabino Cassese. Nicotra, nelle ultime settimane, ha già sondato a tappeto i potenziali grandi elettori. Anche per colmare quello che appare come un limite: al di là del prestigio della diretta interessata, la base di Giurisprudenza è da sempre più debole rispetto ad altri dipartimenti, senza poi considerare l’ostilità interna, a partire da quella dell’odiato (ma la cosa è reciproca) collega costituzionalista Agatino Cariola, candidato rettore quattro anni fa, e non solo. Nicotra, dunque, prova a fare la lepre. E a proporsi, senza strafare, in discontinuità rispetto a Priolo: in questo senso, ad esempio, vanno inquadrate le recenti dimissioni dal Cda d’Ateneo (addebitate però, da più maliziosi, ad altre ragioni personali) nel quale - a dire il vero - la docente non ha mai recitato il ruolo di oppositrice radicale.
«Sì, Ida sta già correndo. A me per ora basta camminare», va dicendo di questi tempi Foti a chi lo provoca sull’apertura dei giochi elettorali. Fra i due ci sarebbe persino già stato un incontro all’insegna del fair play, durante il quale l’ex direttore del Dicar (Ingegneria civile e Architettura) avrebbe confermato alla rivale la scelta di candidarsi. E non sarebbe la prima volta, visto che nel 2017 Foti sfidò Francesco Basile, dimissionario due anni dopo e ora fra gli imputati eccellenti di “Università Bandita”, insieme con il predecessore Giacomo Pignataro. In quell’occasione l’ingegnere sconfitto fu sostenuto, e poi mollato, dall’uscente Toni Recca. Lo stesso che, indirettamente, lo trascinò nell’inchiesta sulla concorsopoli accademica, per un bando da ordinario. Ma Foti, così come il suo “maestro” Recca, è stato archiviato già in fase di indagini preliminari. E così adesso ha le mani libere per riproporre una candidatura che oggi sembra più matura e strutturata. Tanto più che, dopo trascorsi giovanili nella sinistra radicale e simpatie da sempre progressiste, l’ingegnere , forte di 12 anni al vertice del Dicar, si propone come «bravo amministratore accademico». Senza troppa puzza sotto al naso per gli attestati di stima (e gli incarichi) provenienti da destra: Nello Musumeci, da governatore, lo volle alla guida della commissione sulla Cittadella giudiziaria; Fabio Fatuzzo, neo-commissario nazionale sulla depurazione lo ha già cooptato per una consulenza di prestigio. Foti tesse la sua tela, senza eccessi, ma a testa bassa.

Ida Nicotra, Enrico Foti

Lo "sponsor" di Foti

E magari ogni tanto la alza per osservare cosa sta facendo Pierfrancesco Veroux. Suo amico e potenziale big sponsor, il fresco direttore di Chirurgia si muove con estrema circospezione, senza esporsi. Per ora. Ma il suo nome aleggia, anche sospinto dallo spirito di rivalsa dell’ex Medicina, orfana di Basile che aveva rinverdito i vecchi fasti latteriani. Oggi non c’è più la facoltà unica, ma se i quattro dipartimenti si schierassero compatti non ce ne sarebbe per nessuno. Anche se, sussurra qualche camice bianco, Veroux «non ha la stessa capacità aggregativa di Basile». Però ha dalla sua, oltre al lignaggio (il padre, Gastone Veroux, è fra i capiscuola della chirurgia italiana), un meritato standing professionale. Ci sono anche le sue mani dietro al “miracolo”, il primo in Italia, della donna diventata madre dopo il trapianto dell’utero. E ormai è soltanto un brutto ricordo quel processo per omicidio colposo dopo la morte di un paziente alla quale era stato trapiantato il rene di un’ottantenne. Veroux, delegato del rettore a “Sanità e innovazione”, fino a fine 2022, potrebbe avere anche il profilo ideale per rappresentare la continuità con Priolo.
Lo stesso ruolo che si cucirebbe addosso a Giovanni La Via, che s’è dimesso di recente da direttore generale. Magari col sogno, tutt’altro che nascosto, di ritornare a Bruxelles (dove fu apprezzato eurodeputato dal 2009 al 2019, dopo essere stato assessore regionale all’Agricoltura indicato da Pino Firrarello e Giuseppe Castiglione, che lo additano di successiva ingratitudine), ma in Forza Italia sembra non esserci spazio.

Pierfrancesco Veroux

La tecnica di La Via

E allora - se Nicotra corre; Foti cammina; e Veroux si guarda attorno - La Via, che è tornato a insegnare da ordinario di Economia ed estimo rurale, adotta la tecnica paternese del muoviti fermo. Conscio di «aver messo in ordine conti e procedure» dell’Università, come dice a chi lo invoglia, aspetta l’evolversi di un quadro che al momento ritiene «prematuro». Magari pronto (previo accordo con Veroux, che avrebbe incontrato di recente) ad andare anche al di là del perimetro elettorale di Priolo. Con il quale il rapporto resta buono, pur scontando - sostengono i più maligni - qualche recente sintomo della sindrome da due galletti in un Rettorato. Magari, allora, sarebbe coerente il passaggio di testimone a un’altra docente, Alessandra Gentile (del Di3a, lo stesso dipartimento di La Via), già prorettrice con Pignataro e delegata alla Ricerca di Basile, appena entrata in Cda d’Ateneo con la benedizione di Priolo. Ma il rettore in carica riuscirà davvero a indirizzare la sua successione? In materia di endorsement degli uscenti, alle urne c’è una maledizione: da Enrico Rizzarelli a Ferdinando Latteri, fino agli stessi Recca e Pignataro, molti Magnifici sono stati eletti in discontinuità con i predecessori; un trend interrotto, seppur in contingenze emergenziali, da Basile e dallo stesso Priolo.

La candidatura di discontinuità

E allora potrebbe - dovrebbe, secondo l’ala più progressista dell’Ateneo - materializzarsi una candidatura di discontinuità. L’ideale? Marina Paino, direttore del “popoloso” Disum (Scienze umanistiche), a patto che esca assolta da “Università Bandita”, dov’è imputata per la cattedra assegnata a Orazio Licandro, ex assessore di Enzo Bianco, entrambi coimputati. Dalla difesa trapela ottimismo: se fosse così, potrebbero esserci i tempi tecnici per una candidatura da assolta. Con impatto “femminista” ben più efficace di quello di Nicotra. Nella stessa area politica si muove, sondando con discrezione il terreno, anche Alberto Fichera. L’eventuale discesa in campo sarebbe un po’ meno “alternativa” rispetto a quella di Paino, poiché l’ordinario di Fisica tecnica industriale al Dieei (il secondo dipartimento dell’ex facoltà di Ingegneria) è anche il fidato delegato alla Didattica di Priolo. Ma avrebbe dalla sua una stima diffusa in più aree, oltre al valore aggiunto di non essere stato sfiorato da “Università Bandita”. Lui che, a proposito di guai giudiziari, fu il protagonista - anzi: la vittima - di uno dei più clamorosi casi di malagiustizia a livello nazionale: arrestato nel 2009 con l’accusa di aver firmato dieci anni prima una falsa perizia fonica per favorire un camorrista del clan dei Casalesi. Assolto con tante scuse, dopo un processo in cui testimoniò anche l’allora ministro dell’Interno Bianco, che nel 2008 aveva inserito Fichera fra gli assessori designati da Giovanni Burtone, candidato sindaco del centrosinistra sconfitto a Catania.
Nomi, voci, suggestioni, pettegolezzi. Come quelli, non confermati dal diretto (dis)interessato, di una candidatura di Daniele Malfitana. Non foss’altro che per il salto simile a quello di Priolo: da presidente della Scuola Superiore di Catania a rettore. Ma la carriera da ordinario dell’archeologo Malfitana, ex dirigente di ricerca Cnr, è relativamente giovane. Forse troppo, in un Ateneo che - come proclamava Basile nella celebre intercettazione di “Università Bandita” - «nasce su una base cittadina abbastanza ristretta di élite culturale della città, perché fino ad adesso sono sempre quelle le famiglie».
m.barresi@lasicilia.it