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Terremoto di Catania, tanti sfollati hanno dormito in auto, poche decine negli alberghi convenzionati

Di Mario Barresi |

Fleri (Zafferana Etnea). «Servono quattro confezioni di latte. E poi gli omogeneizzati. Quelli da zero a sei mesi… Ma sbrigatevi, perché qui i piccolini non hanno paura, ma fame. Tantissima fame…».

Appena entrati nella scuola di via Rossi, diventata un ufficio delle cose (e delle case, ma anche delle persone perdute), l’attenzione viene attirata da una giovane peperina che sembra non voler lasciare nulla al caso. «Allora quanti sono quelli che può ospitare il Primavera? E gli altri? Quanti ne mandiamo all’Airone?». Ci avviciniamo e, dopo una sua lunga telefonata col col sindaco Alfio Russo, ci presentiamo. «Ah, molto lieta. Io sono Chiara Guglielmino. Una sfollata…». Ed è vero. La giovane ha visto il terremoto ferire la sua casa di via Diaz. «Ci sto con mia madre e mio padre. È proprio sopra la faglia…», dice con un bel sorriso che sgorga da sotto gli occhialini da furbetta. Ex consigliera comunale, da due notti sfollata. Eppure angelo del volontariato, con una spontaneità e una leggerezza che impressionano, per venire incontro ai suoi compagni di sventura. «Io e i miei siamo dei senza tetto fortunati: dormiremo da mia sorella, su a Zafferana, in una casa sicura. Questi non hanno dove andare e m’è venuto spontaneo sbracciarmi per fare quello che posso».

Il ricordo più brutto della notte di paura? «Il buio, il freddo e la puzza di gas. Alle tre di notte, dopo un terremoto che ti ha fatto cascare la casa, vai in automatico. Per istinto di sopravvivenza. Vuoi salvare e provi ad aiutare gli altri», spiega fiera e serena. Ma qualche minuto dopo, quando a scuola ha finito di aiutare i volontari di protezione civile, ecco la stanchezza e lo stress. E mentre aspetta un passaggio per andare a casa della sorella, scoppia in una crisi (liberatoria) di pianto. «Non è niente, domani sono di nuovo qui», assicura asciugandosi i lacrimoni.

La seguiamo per un po’ all’uscita, ma poi le nostre strade si separano. Nella spettrale notte di una Fleri chiusa per terremoto in giro ci sono più poliziotti, vigili del fuoco e carabinieri che cittadini. Soltanto in piazza, sotto la chiesa simbolo del terremoto del 1984, si rivedono anime senza divisa. Ma il filo bianco e rosso che circonda la frazione ferita a morte ha alcuni punti deboli. In via del Redentore, una strada larga e in parte sterrata perpendicolare al corso principale, c’è posteggiata una vecchia Panda bianca. Con due anziani dentro. Entrambi sotto un plaid si tengono per mano. I vetri sono appannati. Toc-toc: ma che ci fate lì dentro? «Grazie, non abbiamo bisogno di niente. Non vogliamo lasciare la nostra casa». E il rischio di finire assiderati? «Almeno moriamo assieme. Non sceglie il terremoto chi far sopravvivere». E lei, accennando un saluto gentile, tira giù il finestrino. Abbraccia il marito. E gli tira su la coperta.

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