I capelli biondi raccolti in un austero chignon e gli occhi fissi al banco dei testimoni. Paola Pepe, ieri mattina, ha seguito con molta attenzione l’esame di Clelia Vescovi, teste chiave del processo che si celebra davanti alla Corte d’Assise di Catania sulla morte di Maria Basso. L’ottantenne di Asiago è deceduta due anni fa, a dicembre, dopo un trasferimento lampo da una casa di riposo di Asiago, in Veneto, a una struttura di Aci Castello, nel Catanese. Un viaggio in macchina con la nipote Pepe che fin da subito ha portato i cugini di Maria a presentare una denuncia ai carabinieri. Pepe è accusata – e per questo è sottoposta ai domiciliari – di omicidio e circonvenzione d’incapace. Basso è morta, secondo il teorema accusatorio, dopo un pranzo con la nipote (che in verità è la figlia di una cugina) nel corso del quale avrebbe ingerito degli spaghetti e un dolce, che però non sarebbero stati triturati a dovere. L’anziana, infatti, soffriva di una patologia per cui poteva ingerire solo cibi omogeneizzati. Poco prima di finire in ospedale, Basso ha stilato un nuovo testamento dove dichiarava erede universale Paola Pepe.
Ma andiamo all’udienza che si è tenuta nell’aula Serafino Famà del Tribunale di Catania sotto i riflettori di telecamere e giornalisti di alcuni talk show nazionali.
Clelia Vescovi non ci sta ad essere definita «la badante di Maria». Lo ha detto molte volte durante la lunga testimonianza in cui ha risposto alle domande della pm Michela Maresca. «Io ero un’amica e ho cercato di fare tutto quello che era possibile per poterla assistere. E l’ho fatto perché volevo veramente bene a Maria, non ricevevo alcun compenso», ha chiarito. Il sostituto procuratore ha riavvolto il nastro fino alla festa di compleanno in cui Maria Basso ha spento ottanta candelina. Giorno in cui Paola Pepe è riapparsa nella vita della parente dopo un lungo distacco. «Nella lista degli ospiti Maria mi aveva fatto mettere la mamma di Paola, ma poi la stessa nipote mi ha avvertito che sarebbe venuta lei perché la madre stava poco bene». Clelia non ricorda con precisione quando ha incontrato per la prima volta l’imputata. Ma tra le due ci sono stati subito attriti. «Mi ha rimproverato di non averla informata delle condizioni di Maria», spiega. Il giorno del compleanno «è esploso l’amore – ha raccontato – era sempre attaccata alla zia». Finita la festa c’è stato un incontro a casa di Clelia, dove si sarebbe parlato del desiderio dell’anziana di «fare testamento». Per Clelia, Pepe avrebbe illuso «l’amica» promettendo di rimetterla in piedi. Poi il notaio ha informato Vescovi che le era stata revocata la procura. E a quel punto Clelia ha preso i gioielli, che «per volere di Maria tenevo in casa mia», e li ho portati in banca per metterli in cassetta di sicurezza.
Sollecitata da uno degli avvocati di parte civile, la teste non ha riconosciuto la firma di Maria Basso in uno dei documenti inviati da Pepe per email prima del trasferimento.
Vescovi, poi, ha risposto alle domande dell’avvocato Dario Riccioli, che assieme a Carmelo Peluso difende Pepe, in riferimento ad alcune considerazioni che avrebbe fatto proprio alla nipote, nel corso di due incontri, su alcune carenze nell’assistenza a Maria nella struttura di Asiago, soprattutto per mancanza di personale rispetto al numero di ospiti. «Maria si lamentava spesso per il cibo», ha spiegato. Molti quesiti, anche da parte della presidente della Corte D’Assise Maria Pia Urso, sono stati indirizzati sul fatto di capire se Vescovi avesse chiarito in modo esplicito all’imputata il fatto che l’ottantenne dovesse essere nutrita solo con cibo tritato o fatto a poltiglia. La teste ha detto che per deduzione l’avrebbe dovuto sapere anche perché il giorno del compleanno «hanno visto come ha mangiato». Ieri è stato sentito anche il cugino della vittima, Tullio Rigoni. E altri due cugini, Roberta e Mario Basso, saranno a Catania il 22 novembre.