Se cucinare insieme è occasione di lavoro e di integrazione

Di Pinella Leocata / 12 Marzo 2017

Una storia che parte da lontano, dalla travagliata esperienza di Ezio Canfarelli. Nato ad Acireale, ancora ragazzino si trasferisce al Nord con la famiglia, poi si laurea in Scienze politiche a Milano e qui inizia una brillante carriera nel settore assicurativo-finanziario fino a diventare un dirigente della Ras Alliance. Un manager di successo che, come molti, nella «Milano da bere» di fine anni ‘90, fa ampio uso di cocaina fino alla dipendenza. «Che la coca aiuti il lavoro è un falso mito. Nel tempo isola, ti spinge a vivere in una situazione di grande solitudine». Ne esce nel 2003, come racconta nel suo libro autobiografico «Come e perché smettere di pippare». «Un pomeriggio sono tornato nella mia grande casa e ho visto i miei figli, ancora molto piccoli, davanti alla televisione con una delle due tate. Ho pensato: li sto perdendo. In quel momento ho deciso di smettere e ce l’ho fatta». E questo ha significato anche cambiare lavoro, ritornare a Bergamo dove vivevano i genitori e i fratelli, ripensare la propria vita, inventarsi un nuovo lavoro. «Mi sono chiesto: che cosa mi piace fare? Cucinare. E da lì sono ripartito, da un ristorante innovativo. Mi sono inventato “Fatti i conti tuoi”: il cliente sceglieva da un menù dove non erano indicati i prezzi perché non ce n’erano, li decideva lui in base alla soddisfazione e al valore che vi attribuiva. L’idea era quella di creare un cliente responsabile. Era il 2009, l’inizio della crisi. Fu un successo clamoroso, eppure non ero ancora soddisfatto della mia vita».

Ezio Canfarelli comincia a pensare alla possibilità di intraprendere «un’attività aperta agli ultimi, a quanti non avevano avuto la fortuna di avere una famiglia in condizione di fornire loro gli strumenti necessari per studiare e per farsi un futuro, a differenza di me che ho avuto una famiglia che mi ha consentito di avere le spalle coperte anche nei momenti difficili». Così comincia a pensare ai disabili, ai ragazzi abbandonati e costretti a vivere in istituto, a quelli finiti in carcere. Nasce così l’idea di «11», oggi «11eleven». Undici come l’undicesimo comandamento: non sprecare. «Pensavo che non bisogna sprecare cibo, risorse, talenti, persone, perché anche la situazione delle persone, se nessuno si occupa di loro, peggiora». Di qui l’idea di aprire un ristorante insieme a persone in difficoltà, e solo con loro, ovviamente dopo averle formate. Il primo tentativo di mettere in pratica questo progetto il dottor Ezio Canfarelli lo fa a Bergamo, ma i tempi non sono maturi. «Il Comune e la politica mi hanno fatto perdere tempo, il sindaco allora era leghista e c’era tanto scetticismo su questa idea. Intanto sentivo l’esigenza di cambiare completamente vita. Cominciavo a pensare al Messico… Poi i miei amici catanesi, saputo della mia idea, mi hanno detto: ma perché non lo fai qui? Ho cominciato a pensarci. Catania è una città ricchissima di esperienze non incanalate di cui avrei potuto disporre mettendo a disposizione il mio bagaglio professionale. E poi qui non c’è la Lega con cui è più difficile dialogare».

L’amministrazione Bianco, cui si rivolge in prima battuta, si dice molto interessata. Ezio Canfarelli chiede di poter utilizzare un bene confiscato alla mafia e il patrocinio del Comune, ma non se ne fa nulla. «Non mi sono scoraggiato. Intanto avevo messo radici, avevo conosciuto la Comunità di Sant’Egidio, della cui rete faccio parte, e con loro la sera raccoglievo il cibo non consumato nei bar per distribuirlo di notte a chi vive in strada. In quello stesso periodo ho conosciuto Barbara Sidoti, che ora vive in Svizzera, che voleva realizzare un progetto simile al mio includendo i migranti. Così abbiamo messo insieme le due idee, la mia volta all’inclusione delle persone marginali e la sua volta all’inclusione dei migranti. La nostra esperienza di ristorazione a Scenario pubblico è partita nell’ottobre 2014». Funziona così. I ragazzi – indicati in buona parte dalle comunità Prospettiva, Il Faro, Sant’Egidio e da padre Mario Sirica della “Locanda del Samaritano” – vengono formati da cuochi professionisti, fanno periodicamente laboratori di aggiornamento, ma prima, con il dialogo, si cerca di capire di ognuno chi è, che cosa sa fare, che cosa vuole fare. Tutti cominciano facendo i lavapiatti, poi, passano a lavorare in cucina e in sala. Infine, quando ognuno di loro ha appreso il mestiere propone alcuni piatti della tradizione culinaria del proprio Paese di provenienza, così piatti africani, siriani, mediorientali vengono sicilianizzati e «la cucina diventa fusion». «Così creiamo piatti nuovi, come del resto è sempre avvenuto nella tradizione siciliana».

Abitualmente viene proposto un numero limitato di piatti, 12-13 al massimo, e il menù viene elaborato di volta in volta e cambia a seconda delle stagioni. I giovani lavorano per un periodo di mesi, poi, ne arrivano di altri. «11eleven» è una cooperativa sociale e ognuno di loro diventa socio-lavoratore e riceve uno stipendio. «Guadagnano, non stanno in strada, crescono, imparano, hanno la possibilità di pagarsi l’affitto e di vivere in una situazione più civile di quella cui spesso sono costretti in piccoli appartamenti, dotati di un solo bagno, dove vengono stipate anche 25 persone. E la cooperativa riesce ad andare avanti. La nostra politica è fare spendere poco, non più di 15-20 euro, perché il nostro è un progetto imprenditoriale ed etico. Per questo lavoriamo con prodotti locali, con il vino delle cantine del posto e con i birrifici siciliani». Un progetto di integrazione culturale e di inclusione sociale che, fino a qualche tempo fa, non era stato reso noto al pubblico degli avventori, come se fosse un ristorante «normale». E, invece, è importante che i clienti ne siano partecipi, «anche per giustificare alcune piccole disfunzioni che possono capitare, come quando i ragazzi presentano il dolce quando il pane è ancora sulla tavola. I clienti sono esigenti, ma i catanesi sono generosi e quando conoscono il progetto diventano più indulgenti». Un modello che Ezio Canfarelli intende esportare anche a Roma e a Milano.

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Pubblicato da:
Redazione
Tag: canfarelli cucina migranti ragazzi ristorazione Scenario Pubblico