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Il racconto

Scordia, il racconto di Mario Caniglia l’imprenditore che disse no al pizzo: «Avrei perso dignità e libertà»

«Giro le scuole di tutta Italia ma il liceo del miol paese non mi ha mai invitato»

Di Lorenzo Gugliara |

L’11 marzo 1989 rappresenta un giorno tragico per Scordia. Per mano mafiosa cadde sotto i colpi di pistola uno degli imprenditori più in vista in quel momento, Nicola D’Antrassi. Il suo omicidio doveva essere da avvertimento per tutti gli altri imprenditori che da quel sacrificio avrebbero potuto trovare il coraggio di alzare la testa e ribellarsi al pizzo.

Scordia balza ancora alla cronaca nel 1999 per la storia dell’imprenditore Mario Caniglia che si fa mettere le microspie dai carabinieri e trova il coraggio di andare a incontrare i suoi estortori che gli avevano chiesto 500 milioni di lire. Caniglia non si fa intimorire dai suoi aguzzini che lo avevano messo in guardia che se avesse chiamato i carabinieri lo avrebbero fatto saltare in aria. «Mi aspettavano con ansia – ricorda Caniglia – non volevano 500 milioni, ma mi proposero una assicurazione a copertura totale dei rischi. “Tu paghi 20 milioni e puoi stare tranquillo”. Gli chiesi cosa mi avrebbero dato in cambio di 20 milioni e loro mi risposero: “Se ti rubano un camion noi te lo restituiamo, se ti rubano un trattore noi te lo portiamo fino a casa, se ti danneggiano un albero sempre con noi devono fare i conti”».

Il rifiuto di pagare

A quel punto Mario Caniglia si rifiutò di pagare e fece una controfferta, giudicata dai mafiosi troppo povera e per questo motivo impossibile da accettare: cinque milioni in una sola volta e non si sarebbero più dovuti far vedere in faccia. In realtà Caniglia non aveva alcuna intenzione di pagare, non per problemi economici, ma perché per lui avrebbe significato fare un patto con il diavolo. Gli estorsori vennero consegnati alla giustizia il 2 febbraio del 1999 e quello stesso giorno si presentò a casa di Mario il servizio centrale di protezione che gli propose di andare via da Scordia con la sua famiglia ma Caniglia è voluto rimanere nella sua città.

«Denunciare conviene»

«Denunciare conviene – ripete come un mantra – quando denunciai avevo 20 operai adesso sono 150 che lavorano nelle aziende dei miei figli a cui ho passato il timone. Se io avessi pagato avrei perduto la libertà e la dignità perché chi paga il pizzo a lungo andare diventa o un prestanome o un fallito. In passato ho anche testimoniato contro imprenditori locali che pagavano regolarmente il pizzo. Grazie alle microspie avevo raccolto le loro confessioni che pagavano il pizzo per poi negarlo a processo. Furono denunciati per favoreggiamento. Alcuni di loro erano anche iscritti all’associazione antiracket. Per questo sono stato cacciato fuori dall’Asaes che qualche anno prima mi aveva voluto come socio onorario. Da quel 2 febbraio 1999 fino al 3 agosto 2017 la mia vita è stata blindata ma lo Stato non mi ha mai lasciato solo insieme alle associazioni antiracket aderenti alla Fai. Il mio progetto rimane sempre quello di girare in lungo e largo l’Italia e da 25 anni incontro gli studenti. Finchè avrò fiato lotterò la mafia che per me rimane un fatto culturale. Solo nella mia Scordia sono un forestiero. Il Liceo infatti non mi ha mai permesso di mettere piede nella scuola per incontrare i ragazzi e premetto che alcuni miei nipoti frequentano la scuola. Dico agli studenti che sono un uomo libero perché ho scelto da che parte stare. Se un giorno dovesse accadere a voi o qualcuno dei vostri familiari prendete il mio esempio. Rispetto al ’99 la gente adesso denuncia più facilmente. Rimango un punto di riferimento per la zona. Ricevo imprenditori di Palagonia, Francofonte, Grammichele vessati da richieste di pizzo. Li metto in contatto con i Carabinieri quindi esco di scena affidandoli alla Fai che si costituisce parte civile».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA