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L'omelia

Sant’Agata, l’arcivescovo: «Sogniamo insieme un modo diverso di amare Catania»

L'invito dell'arcivescovo: «Essere insieme buoni cittadini e devoti, mai una sola cosa senza l’altra»

Di Francesca Aglieri Rinella |

«Vogliamo volgere lo sguardo alla nostra Catania, consapevoli delle sue ferite e con la fiducia che il Signore si prende cura di lei. Noi sentiamo Sant’Agata come una sorella maggiore che ha fede in Dio quando confessa che ha come medico il signore Gesù e guardiamo a San Pietro, a colui che guarisce nel nome di Cristo: costui è un modello da imitare, non per riporre fiducia solo nelle forze, ma in quelle interiori che ci vengono dalla fede, dalla speranza e che si traducono in carità». È un passo dell’omelia dell’arcivescovo di Catania Luigi Renna, durante la messa in Cattedrale in occasione dei festeggiamenti estivi in onore della Patrona. Al termine della messa, la processione del busto reliquiario che attraverserà piazza Duomo, porta Uzeda, via Dusmet, via Porticello, piazza San Placido, via Vittorio Emanuele per fare ritorno a piazza Duomo.

La cura di noi stessi

«Prenderci cura di noi stessi, delle relazioni familiari, delle relazioni sociali – continua Renna – è la stessa sollecitudine del buon samaritano che Papa Francesco ha invitato ad avere a noi battezzati e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà. La cura di noi stessi non è una forma di narcisismo, ma di attenzione al nostro rapporto con Dio e di vigilanza sui nostri sentimenti, perché siano sempre animati da fede e da carità, mai da un amore smodato del proprio io che diviene egoismo e inquina le migliori intenzioni. È bello elevare le nostre ovazioni a Sant’ Agata, quasi gridare con impeto la nostra devozione, ma è ancora più bello raccogliersi in preghiera silenziosa e celebrare i sacramenti di salvezza, soprattutto quel sacramento che ci guarisce interiormente dal peccato, la confessione. Cura di sé è anche dare tempo agli altri, cura del cuore e dell’intelligenza».

La cura degli altri

«La cura degli altri è soprattutto rivolta a coloro verso i quali abbiamo delle responsabilità di primo piano, i nostri familiari. A volte vediamo deturpate le relazioni con forme di violenza che ci fanno chiedere se sono state messe in atto da cristiani ed essere umani: sono le forme estreme che scaturiscono ad esempio in minacce e percosse verso la propria moglie, in femminicidio, uxoricidio, omicidio di una persona con la quale si stava vivendo una relazione che con leggerezza si chiama amore. No, quello non è amore: è violenza e va denunciata. E se uno veste il sacco e usa violenza alla moglie, sappia che fa un oltraggio non solo a sua moglie, ma a Sant’Agata: deve convertirsi. Voglio ancora ritornare però sulla cura dei genitori verso i figli più piccoli. Lo scorso anno ho visitato molte scuole del territorio della nostra Arcidiocesi, ed ho potuto constatare la dedizione dei dirigenti e degli insegnanti, la lungimiranza della prefettura e dello stato, lo sguardo delle mamme che nelle scuole di periferia vorrebbero un futuro diverso per i loro bambini. A volte queste buone intenzioni sono bloccate dalla mancanza di cura o, peggio, da un veleno che uccide il futuro dei nostri ragazzi: quando si trascura di mandarli a scuola, quando soprattutto alle ragazze, in prospettiva di un matrimonio o di una gravidanza che arrivano anche a quindici anni, vedono finire la loro adolescenza per colpa di genitori poco attenti anche nel fare discernimento sulle persone che le frequentano. L’educazione è relazione, non è fatta da progetti faraonici».

La cura della vita sociale

«La cura della vita sociale: è una quanto mai necessaria in una città che ha vissuto molte emergenze e criticità. Credo che le situazioni di disagio delle settimane di fine luglio ci insegnino anzitutto l’umiltà di chi sa anche chiedere scusa in ciò che non può funzionare o addirittura è imprevedibile. Ma occorre recuperare anche una dimensione sociale, che è quella della partecipazione, del sentire la città come propria. Ci prendiamo cura delle relazioni sociali? Esse passano dalla cura della cosa pubblica: se uno lega il suo impianto elettrico a quello pubblico, compie un furto agli altri, a quelli che pagano le tasse. Come può dirsi cittadino di Catania e poi gridare “Viva Sant’ Agata”? Come può farlo chi imbratta, chi vende prodotti alimentari scaduti, getta immondizie ad ogni angolo di strada e di campagna? Perché i tanti onesti devono pagare l’umiliazione della cattiva fama a causa dell’irresponsabilità di alcuni irresponsabili? Se si deve ricorrere alle telecamere per controllare la nostra coscienza, se qualcuno deve vigilare sul nostro comportamento nella cura dei beni collettivi quali strade da tenere pulite, luce e acqua, vuol dire che non assomigliamo ancora a San Pietro che curò Agata nel carcere. Sogniamo insieme un modo diverso di amare la città: amare i beni di tutti è una forma di carità sociale. Non diciamo mai “siamo in Sicilia”, lasciamoci alle spalle quei passaggi del noto romanzo “Il Gattopardo” con quella espressione rassegnata del Principe di Salina al delegato del governo piemontese: “Il sonno, caro Chevalley è ciò che i siciliani vogliono”. No: i siciliani vogliono la qualità della vita e hanno smentito quella frase, con i loro Pino Puglisi, Rosario Livatino, Piersanti Mattarella, Pippo Fava, Biagio Conte. Sono gli esempi del prendersi cura, sono la vera immagine della Sicilia, non quella degli stereotipi che creano alibi. Sono quelli a cui voi giovani soprattutto, chiamati dal papa a Lisbona a brillare della luce del Cristo, siete chiamati ad ispirarvi. Prendiamoci cura della nostra città, tutti. Vogliamo essere insieme buoni cittadini e devoti di Sant’ Agata,mai una sola cosa senza l’altra».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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