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Riposto, anche “killer delle carceri” tra autori dell’omicidio Chiappone

Di Redazione |

Catania – I Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Catania, su delega della Procura Distrettuale di Catania, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip del Tribunale di Catania, nei confronti di Antonino Marano, 75enne di Riposto, noto come “il killer delle carceri”, sottoposto ad indagini per il reato di concorso in omicidio, con l’aggravante di aver agito con premeditazione e con crudeltà. L’uomo è accusato di essere stato tra gli autori dell’omicidio di Dario Chiappone, il cui cadavere venne rinvenuto a Riposto il 31 ottobre del 2016.

Le indagini furono avviate dopo l’arresto di Marano, nel maggio del 2019, a Santa Venerina, per detenzione e porto illegale di arma da sparo. In particolare, le impronte papillari dell’arrestato, acquisite sia a seguito del suo arresto per detenzione e porto illegale di armi sia nella casa circondariale dove era detenuto per tale reato, furono comparate dal RIS di Messina con le impronte rilevate durante il sopralluogo per quell’omicidio, ottenendo un riscontro formidabile sulla presenza del medesimo sul luogo del cruento delitto.

Il 23 giugno 2017, nel corso del primo segmento di indagine, la Procura di Catania aveva emesso un decreto di fermo di indiziato di delitto a carico di Salvatore Di Mauro, tuttora irreperibile, e di Agatino Tuccio, attualmente detenuto e in attesa di giudizio di primo grado. In quel contesto investigativo erano già emersi assidui rapporti di frequentazione tra Marano e l’imputato Tuccio. Il provvedimento restrittivo è stato notificato a Marano in carcere. Le indagini sull’omicidio Chiappone proseguono per l’identificazione di eventuali mandanti.

Sicario di grosso spessore criminale, Antonino Marano è stato anche protagonista di episodi che segnarono la cronaca criminale degli anni ’80. Come quando nel carcere di San Vittore a Milano, con Faro, urlò di essere in possesso di una bomba e col complice fece irruzione nella cella di Andraus per ucciderlo con un tubo della doccia che «avevamo staccato con le mani» per «assassinare un infame», ma l’intervento dei secondini bloccò il tentativo di omicidio. Ai giornalisti, durante il processo in cui i due furono condannati a 17 anni di carcere ciascuno, non spiegarono il movente: «se Andraus fosse morto – sostenne Marano – si poteva dire, ma purtroppo è vivo. Quando morirà ne riparleremo…».

Il 5 ottobre del 1987 lui e Faro furono vittime di un attentato nell’aula della Corte di Assise di Milano: durante la requisitoria del Pm Francesco Di Maggio al processo Epaminonda, il detenuto Nuccio Miano sparò con una pistola diversi colpi contro di loro, ma ferì due carabinieri. Il tentativo di vendetta arrivò un anno dopo. Era il 7 novembre del 1988 e nell’aula-bunker delle Vallette di Torino si celebrava un processo-stralcio contro il ‘clan dei catanesì davanti la Corte d’assise presieduta da Gustavo Zagrebelsky, quando da una delle gabbie Marano lanciò una bomba-carta contro la celle in cui si trovano i fratelli Nuccio e Luigi ‘Jimmy’ Miano. L’ordigno artigianale realizzato con dell’esplosivo nascosto dentro un pacchetto di sigarette non colpì il bersaglio, ma una canaletta elettrica e un termosifone in ghisa sventrato dall’esplosione. Storie che sembravano finite impolverate nell’antica sanguinosa storia di Cosa nostra di Catania, rispolverate dalle nuove accuse ad uno dei ‘killer delle carceri».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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