RAMACCA – Massacrate a coltellate nella loro abitazione. In una elegante piccola palazzina a tre elevazioni che si affaccia sulla villetta comunale di Ramacca. Nel silenzio assordante del paesino che vive di agricoltura nel Catanese. Nessuno si è accorto della morte atroce di Lucia e Filippa Mogavero, di 70 e 79 anni, sorelle assassinate con numerose coltellate in più parti del corpo. I carabinieri le hanno trovate in pozze di sangue nelle loro case: al primo e al terzo piano, una in un ripostiglio e l’altra in camera da letto. La casa a soqquadro. Tutto messo sottosopra. Un tentativo di rapina o un depistaggio? Per i carabinieri che indagano «tutte le piste sono aperte». Ascoltano in caserma la teste privilegiata: una terza sorella delle vittime, Cettina, insegnante in una scuola primaria, scampata alla strage perché era a scuola. E’ stata lei a dare l’allarme rientrando a casa.
La chiave del portone, con la serratura non forzata, non apriva bene, ha chiesto aiuto a dei vicini e dopo lo scatto e l’apertura dell’uscio è apparso l’inferno davanti agli occhi. E’ sotto choc tanto che fino a sera i carabinieri non riescono ad ottenere grandi informazioni da lei. «Non lo so perché è successo…», continua a ripetere coprendosi il volto rigato di lacrime con le mani.
Non riesce a darsi una spiegazione neppure un quarto fratello, Giovanni, ex carabiniere in pensione che vive a Enna: «Sono stati dei mostri, certamente, per fare una cosa del genere: sono entrati e hanno fatto tutto quello che dovevano fare. E io non so il perché. La mia esperienza di investigatore – aggiunge – la tengo per me…». Un quinto fratello vive in Australia.
Le tre sorelle vivevano da tempo insieme nella stessa palazzina, con un appartamento per piano. Nessuna di loro era sposata. In paese le descrivono come tre donne «assolutamente per bene che si dividevano tra le chiese San Giuseppe e la Matrice, e poi solo casa e lavoro». I vicini non hanno sentito rumori. La porta che non presenta effrazioni potrebbe portare a pensare che le vittime conoscessero l’assassino o gli assassini, ma in un paese di diecimila persone c’è anche chi lascia ancora la porta socchiusa.
I carabinieri del comando provinciale di Catania, coordinati dalla Procura di Caltagirone, stanno visionando le riprese delle telecamere attigue alla zona, anche quella di una via su cui dà un ingresso secondario del palazzo in cui vivevano solo le tre donne.
Impossibile dire se manchino soldi o oggetti preziosi, difficile fare un inventario per un delitto atroce che assume sempre più i contorni del “giallo”. Sembra che le due sorelle siano state picchiate selvaggiamente prima di essere uccise con decine di coltellate. In paese gira, ma per poco, anche la voce di una bicicletta trovata vicino casa, ma i carabinieri smentiscono categoricamente. Non sarebbe un’altra Palagonia, dove avvenne il duplice omicidio di Vincenzo Solano e della moglie Mercedes Ibanez assassinati da un ospite del Cara di Mineo. «Noi siamo un paese diverso – spiega il sindaco Pippo Limoli – qui ci sono trenta minorenni non accompagnati in comunità, bene assistiti e bene inseriti. Certo adesso anche noi, che non abbiamo nel Dna questa violenza, abbiamo paura».