MINEO – L’omicidio di una nigeriana, sgozzata all’interno del Centro richiedenti asilo di Mineo, fa tornare d’attualità il tema della sicurezza al Cara ma anche fuori. «Questo omicidio – ha detto il procuratore capo di Caltagirone Giuseppe Verzera che coordina le indagini – riconferma per l’ennesima volta che non si possono controllare 3.500 persone, come quelle che vivono nel Cara di Mineo. C’è un problema di sicurezza della struttura».
L’omicidio è stato commesso in piena notte al Cara. La vittima è Francis Miracle, nigeriana di 27 anni: il cadavere è stato rinvenuto nell’alloggio della stessa donna, in una unità abitativa del Residence della solidarietà, in contrada Cucinella.
Il decesso sarebbe avvenuto, secondo le ipotesi degli investigatori, la sera del Capodanno. Al culmine di un litigio, la donna è stata assassinata con un violento colpo di arma da taglio. L’omicida l’avrebbe colpita con un coltello all’altezza della gola, con almeno due fendenti, procurandole gravissime emorragie e lesioni mortali. La donna – ospite della struttura da circa un anno – avrebbe soltanto opposto una tenue resistenza fisica, non riuscendo a scappare dalle mura domestiche.
Le indagini sono state immediatamente avviate dalla polizia, con il supporto della squadra mobile della Questura di Catania e degli uomini del Commissariato di Caltagirone, che hanno rinvenuto e sequestrato l’arma. L’azione investigativa è stata coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltagirone. Dopo poche ore gli inquirenti hanno stretto il cerchio sul presunto responsabile, un uomo che gli agenti della Polizia hanno individuato e fermato alla Fiera di Catania dopo un vano tentativo di fuga.
L’indagato non è un ospite del Cara, ma un extracomunitario del Mali che sarebbe arrivato in Sicilia da un centro del Nord Italia. Dopo avere commesso l’omicidio, l’uomo si sarebbe allontanato dal villaggio di Mineo, tentando di far perdere ogni traccia ma le serrate ricerche avviate subito dopo la scoperta del delitto hanno dato i loro frutti. L’uomo sul quale si sono concentrati i sospetti degli investigatori è stata interrogato per ora ma non avrebbe negato ogni addebito. E infatti, secondo quanto si è appreso, l’uomo è stata ascoltato come persona informata dei fatti e non come indagato.
«Al momento c’è la posizione di una persona al vaglio dell’autorità giudiziaria. La situazione è ancora fluida», ha detto il procuratore Verzera.
Sarebbero stati alcuni volontari della Croce rossa italiana e gli operatori del servizio medico a rilevare il tragico fatto di sangue, dopo la disperata richiesta di aiuto dei figli della donna, due bambini di 6 e 7 anni, che hanno accusato un forte choc psicologico per l’accaduto, pur non avendo assistito al delitto. L’avvenuto decesso ha reso inutili gli immediati tentativi di soccorso della nigeriana, che sarebbe stata uccisa alcune ore prima del rinvenimento. Non ci sarebbero stati testimoni oculari o altri apporti collaborativi alle forze dell’ordine.
Restano da chiarire, invece, il movente e la natura delle relazioni tra le due parti. Secondo i primi accertamenti, l’uomo sarebbe stato legato alla donna da un vecchio rapporto sentimentale, che non sempre, però, sarebbe stato condiviso. Negli ultimi tempi avrebbe tentato di convincerla a cambiare modi e luoghi di vita, proponendole anche il trasferimento in un paese del Nord, ma la donna, in attesa da oltre un anno dello status di rifugiato politico, avrebbe rifiutato. Dall’iniziale alterco verbale e dalla colluttazione fisica, in base alle iniziali deduzioni degli inquirenti, sarebbe scaturito poi il raptus omicida.